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01/06/2021
Il lavoro non è uno show
L’Italia è in seria difficoltà e i partiti continuano solo a contrapporsi

È di una manciata di giorni fa la notizia che l’azienda di servizio pubblico italiana, la Rai, avrebbe dato mandato al proprio ufficio legale di avviare querela contro Fedez per diffamazione aggravata e per grave danno all’immagine, a seguito della tristemente nota vicenda del primo maggio; ebbene sì il concertone approda in tribunale.

Sicuramente giuridicamente è la mossa più corretta da parte della Rai, l’unico strumento per tutelarsi di fronte a una guerra mediatica, iniziata dal cantante, appunto dal palco del grande concerto del primo maggio da piazza San Giovanni.

Ma forse dare ancora importanza e riflettori a chi ne ha già troppi potrebbe solo portare a dare ancora più voce e visibilità a qualcuno che onestamente non ne ha proprio bisogno.

Non voglio assolutamente entrare nel cuore della polemica in questione, perché credo che il punto sia ben altro.
Il cantante Fedez, marito della regina delle influencer (nuova professione che ti erge a santone di milioni di follower e altamente remunerativa), dal palco del concerto del primo maggio ha lanciato il suo sostegno al ddl Zan ma non solo, ha accusato i vertici Rai di aver tentato di impedirglielo con minacce assolutamente non velate; questo in breve il fatto. Ebbene questo “fatto” nei giorni immediatamente seguenti ha scatenato un vero e proprio terremoto mediatico.

L’attenzione dei media sulla polemica che ne è nata, è stata altissima e naturalmente tutta la politica (a parte Lega e Fratelli d’Italia) in maniera trasversale si è affrettata a sostenere le posizioni del rapper e a condannare l’eventuale censura Rai.

Nessuno, né media né politica, si è posto il problema che forse a dover tener banco il primo maggio nella cronaca come nell’agire politico doveva essere il lavoro e non i diritti civili, ma ormai si sa sostenere i diritti civili è molto più chic e politicamente corretto che occuparsi dei diritti sociali, come se l’uno escludesse l’altro.

Un silenzio assordante. Un atteggiamento gravissimo, reso ancora più grave dal particolare momento che stiamo vivendo.

Nessuno si è preoccupato di rappresentare i lavoratori, nessuno ha lanciato appassionati appelli a sostegno delle lotte condotte da chi lavora per emanciparsi da una condizione di sfruttamento e di vecchie e nuove schiavitù. Nessuno ha speso una parola per i posti di lavoro bruciati dalla pandemia a cui presto o tardi si aggiungeranno quelli che sono ancorati al blocco dei licenziamenti.

E nessuno ha speso una parola per le morti bianche aumentate dall’inizio della pandemia.

Già perché purtroppo a far rumore sono solo le morti sul lavoro che i media ritengono evidentemente orribili e odiose, come quella della giovane morta a Prato lo scorso 3 maggio, ma questa morte seppur terribile non è l’unica purtroppo e a far discutere dovrebbero essere più elementi come ad esempio: che ancora oggi si muore per le stesse ragioni e allo stesso modo di cinquant’anni fa, per lo schiacciamento di un macchinario o per la caduta da un tetto. Non sembra cambiato niente, nonostante lo sviluppo tecnologico dei macchinari e dei sistemi di sicurezza. È come se la tecnologia si arrestasse alle soglie di fabbriche e stanzoni, dove troppo spesso la sicurezza continua ad essere considerata solo un costo.

Nel 2020 si sono segnalati 1270 decessi sul lavoro, una media di quasi quattro morti al giorno, con un aumento del 16,6% rispetto al 2019, nonostante la generale contrazione dell’economia. A questa statistica di vittime registrate va inoltre aggiunto un numero imprecisato di morti sul lavoro nero, impossibili da quantificare.

È invece, quantificabile l’ulteriore aumento dei morti sul lavoro nei primi mesi di quest’anno: nei primi mesi del 2021 si sono contati ben 185 decessi, l’11,4% in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

E c’è ancora di più, il tasso di irregolarità riscontrato dall’ispettorato nazionale del lavoro nelle diecimila aziende ispezionate lo scorso anno per verificare il rispetto delle norme sulla sicurezza è pari al 79,3%.

Quindi francamente è su questi temi che vorrei veder accalorate sia la destra che la sinistra, è di questo che vorrei si parlasse, discutesse fino a trovare delle efficienti soluzioni e non di battaglie di moda o di mera contrapposizione politica.

Insomma tutto questo per dire che il primo maggio avrebbe dovuto scatenare polemica e attenzioni per il mondo del lavoro, avrebbe dovuto accendere i riflettori sui volti, sulle sofferenze, le contraddizioni, la precarietà del mondo del lavoro, di chi ce l’ha, di chi non ce l’ha più, di chi vorrebbe averlo, di chi l’ha pagato con la vita, di chi lo fa da clandestino.

Il resto è solo show e di questo il Paese non ne sente la necessità, soprattutto ora.

Fausta Tinari




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