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31/05/2021
Sulla giustizia un vento di cambiamento
La presa d’atto di un risoluto impegno riformatore l’ha fornita l’attuale ministro per la giustizia Marta Cartabia con le sue perentorie dichiarazioni: “Deve essere molto chiaro che senza riforme della giustizia, niente fondi del Recovery”

Come un fiume carsico la questione della giustizia e di una sua necessaria riforma, riaffiora nel dibattito politico e nelle iniziative del governo.

Se volgiamo lo sguardo all’indietro negli anni, verso i governi che hanno preceduto l’attuale, scorgiamo come non siano mai mancati tentativi di affrontare il problema di rendere più efficiente l’amministrazione della giustizia e, soprattutto, di riportare l’organizzazione giudiziaria alla sua funzione di ordine e non di potere, secondo la brillante formula indicata, a suo tempo, per la sua riforma, da Francesco Cossiga.

Immancabilmente, di tali tentativi non rimase nulla, se non qualche provvedimento parziale, effetto di interessati obbiettivi o di sollecitazioni giustizialiste. E’ come se avesse sempre prevalso un potere di resistenza conservatrice rispetto a tentativi probabilmente poco organici o il timore, sin troppo enfatizzato, di una riduzione complessiva di prerogative ampiamente indicate e tutelate nella Carta costituzionale, ma in realtà suggerite dal prevalente fine di giustificare e difendere un diffuso giustizialismo. 

Anche quello che potrebbe definirsi come il fronte minimalista, cioè sostenitore della soluzione dei problemi nel solo ambito organizzativo di uffici e di risorse, si è dovuto arrendere davanti agli avvenimenti - in primis la vicenda Palamara e i contenuti della sua intervista al giornalista Alessandro Sallusti, ma anche le oscure vicende della ipotizzata loggia Ungheria - che negli ultimi mesi hanno squarciato la scena di una condizione assai degenerata, proprio sotto l’aspetto politico e costituzionale. 

Tale quadro presenta un doppio danno in quanto, oltre ad accentuare le difficoltà del Paese per gli immancabili riflessi sociali ed economici, contraddice ed offusca l’impegno che meritoriamente è stato prodotto, per anni, dalla stessa magistratura nei confronti della malavita organizzata, con importanti successi, con un alto prezzo di sangue di suoi insigni esponenti da non dimenticare.

La presa d’atto di un risoluto impegno riformatore l’ha fornita l’attuale ministro per la giustizia Marta Cartabia con le sue perentorie dichiarazioni: “Deve essere molto chiaro che senza riforme della giustizia, niente fondi del Recovery”. Formulazione significativa in quanto dimostra la connessione di tutto ciò che caratterizza la fase politica nata con la svolta del governo Draghi. E’ evidente infatti come la solidarietà europea sulla quale nasce l’intervento di sostegno alla ripresa richieda all’Italia una adeguata prospettiva riformatrice.

Oltre a questo percorso costruttivo verso una gestione diversa della giustizia italiana, la lunga storia degli effetti della sua politicizzazione, richiede anche chiarimenti di ordine culturale, politico e di riaffermazione di principi essenziali per la convivenza civile.

La riforma, infatti, presenta l’obbiettivo sul piano normativo e procedimentale di realizzare quel “giusto processo” costituzionalmente previsto, oltre che una delimitazioni di ruoli e la riforma di organismi meno penetrabili politicamente; in sintesi, deve costruire un diverso rapporto tra politica e giustizia. Spicca in questa diversa prospettiva il sostegno espresso un mese fa da Sabino Cassese alla proposta di inchiesta parlamentare sul rapporto tra politica e giustizia con argomenti che, partendo dalla realtà americana (significativa la ricordata  frase del giudice della Corte suprema americana: ”la legalità dipende dalla fiducia che le corti siano guidate da principi giuridici e non dalla politica”), evidenziano la rinuncia del CSM “ormai diventato meccanismo para-parlamentare” - occupato in compiti impropri come la suddivisione degli incarichi con criteri politici - con il conseguente pieno diritto del Parlamento di indagare sulla giustizia.

Occorre inoltre voltare pagina rispetto all’imperante giustizialismo che, esploso all’epoca di tangentopoli, ha condizionato la vita dei partiti, di quegli organismi, cioè, che la dottrina giuridica pubblica definiva la “Costituzione materiale” della Repubblica. A questo proposito ha fatto scalpore la lettera del ministro degli esteri Luigi Di Maio che si è scusato per l’aggressiva campagna contro un sindaco accusato e poi prosciolto. Tale nuovo e diverso atteggiamento di un importante leader del movimento - peraltro contestato da altri - che si era sempre caratterizzato in senso opposto, dimostra piuttosto la presa d’atto dell’infondatezza di una visione della giustizia come arma politica.

Il lungo tunnel senza uscita del giustizialismo italiano ha prodotto danni che hanno incrinato le istituzioni democratiche, finendo per indebolire lo Stato senza migliorare l’ordine civile. Ed a proposito di questo aspetto vi è, infine, da rilevare che dopo anni di una sorta di impropria guerra civile moralistica, che ha rimosso le sue stesse vittime, occorre avere uno sguardo alto al fine di compiere passi in avanti per ricostruire gli elementi comunitari indispensabili per la saldezza democratica del Paese. 

La memoria non può non andare ai funerali di Bettino Craxi, emblema politico della triste vicenda di tangentopoli, al coraggio e la pietà del Vescovo di Tunisi monsignor Fouad Twal, che richiamò nella cerimonia le sublimi parole del Vangelo di Marco: “Beati i perseguitati a causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli”. Oppure all’episodio del Vangelo di Luca che narra del magistrato “che non temeva Dio e non aveva riguardo per nessuno” che compie un doveroso atto di giustizia verso una vedova solo perché “non venga continuamente ad importunarmi”.

La riforma della giustizia e il suo cambiamento negli auspici dell’iniziativa del governo, servono ad una Italia che deve riprendere il suo cammino di crescita ed anche ad una categoria, la magistratura, che, nella sua grande maggioranza, non merita le critiche e il dileggio causati da problemi reali, norme inadeguate e comportamento di pochi.

Pietro Giubilo




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