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28/05/2021
La proposta di ‘Tony’ Letta
L’Italia ha innanzitutto un problema di crescita economica: se fosse necessario scegliere tra politiche di crescita e di distribuzione bisognerebbe puntare in prima istanza sulle prime

L’aumento della diseguaglianza a livello di reddito e di ricchezza, sia in ambito personale che familiare, così come il progressivo invecchiamento della popolazione nei Paesi più sviluppati sono argomenti che almeno nell’ultimo lustro hanno attirato l’attenzione degli addetti ai lavori e dei responsabili della politica economica. Ne è scaturito uno scambio di vedute sulle politiche statali, e sulle riforme del welfare, centrato in prevalenza sugli effetti dei cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro e, pertanto, su strumenti di policy quali il reddito minimo garantito, e nei Paesi a bassa natalità sul sostegno economico alle famiglie che decidono di mettere al mondo figli. Mentre una minore attenzione aveva ricevuto finora la dimensione generazionale della diseguaglianza. Seppur la proposta di redistribuire la ricchezza, concentrandosi sugli squilibri generazionali, è al centro del dibattito teorico a partire dal contributo pioneristico di Thomas Paine (1797), solo negli ultimi tempi stanno concretizzandosi le proposte dei responsabili della politica economica anche di diverso orientamento politico.

Nel nostro Paese il ‘Forum sulle Disuguaglianze e le Diversità’, coordinato da Fabrizio Barca, ha lanciato il sasso nella piccionaia facendo sua da due anni a questa parte la proposta della dote ai giovani avanzata dal compianto Tony Atkinson: ipotizzando di finanziarla con una imposta sui vantaggi ricevuti da coloro che riscuotono una eredità. Barca nello specifico invoca “una livella riequilibratrice tra le generazioni, da ottenere con un contributo ai diciottenni di 15mila euro, prescindendo dal reddito e dal patrimonio della loro famiglia”.  Mentre il segretario del PD ‘Tony’ Letta qualche giorno fa, non menzionando Atkinson, ha rilanciato la proposta nel dibattito politico italiano. Col risultato che il confronto sulla tassa di successione è divenuto un mero scontro tra chi è favorevole e chi è additato di essere contrario alla redistribuzione pro-giovani.

La discussione andrebbe posta, invece, in altri termini poiché l’essere contrari alla proposta non significa non avere a cuore le sorti dei giovani. L’Italia ha innanzitutto un problema di crescita economica: e se fosse necessario scegliere tra politiche di crescita e quelle di distribuzione bisognerebbe puntare in prima istanza sulle prime. Ma non è detto che bisogna per forza scegliere visto che si possono praticare entrambe, ricordando però che senza la crescita qualsiasi redistribuzione diventa col passare del tempo effimera. L’Italia non necessita di ulteriori entrate fiscali (vicine al 50% del Pil) visto che quello di cui ha bisogno è un riequilibrio della spesa a favore delle giovani generazioni e questo non lo si ottiene con la proposta Atkinson-Letta. Ma torniamo alle perplessità che ha generato. Primo problema: consiste, per l'ennesima volta, in un aumento della tassazione per promuovere i consumi. Questa volta dei giovani. Se una tassa sulle successioni, invece, fosse finalizzata a finanziare investimenti a lungo termine pro-giovani (scuola, infrastrutture), potremmo almeno discuterne. Secondo problema: Una dote in mano ai giovani contribuirebbe a ritardare ulteriormente la loro entrata nel mercato del lavoro (col numero dei "NEET": giovani tra i 15 ed i 29 anni né occupati né inseriti in un percorso di istruzione o di formazione in continua crescita). Terzo problema: il Partito Democratico, avanzando questa proposta conferma, implicitamente, un dato di fatto ovvero che la spesa pubblica in Italia è altamente regressiva: invece di contribuire alla redistribuzione di risorse dalle classi più agiate verso quelle più povere, lascia immutate le sperequazioni sociali e in alcuni casi addirittura le accentua. Ora se fossimo tutti d'accordo sul fatto che la spesa pubblica in Italia non è efficace, potremmo iniziare a rivederne gli indirizzi per aumentarne le potenzialità. Quarto problema: una riforma fiscale che miri ad abbassare le tasse sul lavoro e ad aumentare quelle sulle successioni sarebbe benvenuta ma, appunto, bisognerebbe agire su entrambi i fronti.

E soprattutto se il PD puntasse ad essere un partito progressista, che mira a promuovere più mobilità intergenerazionale, dovrebbe interrogarsi sugli elementi che impediscono ai giovani di esprimere le loro potenzialità nella società e farsi portavoce di riforme che finora una parte della sua stessa base ha avversato: I) migliorare il sistema scolastico che non permette ai meno abbienti di salire sull’ascensore sociale; II) abolire o riformare gli albi professionali (giornalisti, commercialisti, avvocati, notai) che, mettendo barriere all’ingresso, di fatto penalizzano i meritevoli ma meno abbienti, e garantiscono fonti di reddito a quelli nati “nella famiglia giusta”; e infine aumentare l’età pensionabile così da poter trasferire risorse destinate alle pensioni verso misure di welfare attivo ed offrire ai giovani tutele in un mercato del lavoro in continuo cambiamento.

Marco Boleo
 




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