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14/05/2021
Quali politiche per generare un capitalismo inclusivo
I nuovi valori di mercato forniscono segnali per nuove scelte di investimento e nuove scelte educative per stare al passo coi cambiamenti

Dani Rodrik e Stefanie Stantcheva, due economisti che stanno sul ‘pezzo’ da tempo, in “A Policy Matrix for Inclusive Prosperity” (Policy Brief 30) attraverso una “matrice di policy” riassumono compiutamente le varie proposte emerse nel dibattito sulla necessaria “riforma del capitalismo”: visto che non garantisce più una prosperità inclusiva a coloro che partecipano ai processi economici e sociali da esso generati. Gli interventi correttivi di politica economica dovrebbero consentire a tutti coloro con condizioni e opportunità di partenza (dotazioni iniziali) diverse di beneficiare della crescita economica, dell’adozione di nuove tecnologie e dei frutti della globalizzazione.

 

La matrice è ‘tre righe per tre colonne’: nelle righe ci sono tre livelli di reddito percepito dai consumatori-lavoratori (uno basso, uno medio, uno elevato). Sulle colonne, invece, tre tipi di politiche a seconda del loro rapporto con le tre fasi del processo produttivo capitalistico (prima, durante, e a produzione avvenuta). Nel primo caso gli interventi influenzano le dotazioni che le persone portano nell’arena del mercato, quali istruzione e bagaglio di competenze, capitale finanziario, reti sociali e capitale sociale derivanti dalla comunità di appartenenza. Mentre quelle dopo la produzione sono le tradizionali politiche ‘socialdemocratiche’ ereditate dal trentennio glorioso (1945-1975): trasferimenti condizionati a imprese e famiglie, sussidi di disoccupazione, e la tassazione progressiva dei redditi che influenza la loro distribuzione tra i livelli di reddito percepito. Le politiche che intervengono, invece, durante la produzione sono quelle che condizionano direttamente le decisioni delle imprese in materia di occupazione, investimento e innovazione. Stiamo parlando del salario minimo garantito, delle concessioni per poter svolgere l’attività imprenditoriale, della regolamentazione del funzionamento del mercato del lavoro, e dei “tavoli” di concertazione tra i diversi portatori d’interessi nell’arena decisionale. Ad avviso di Rodrik e della Stantcheva le politiche economiche implementate prima e dopo il processo produttivo non sono più efficaci nella stagione che stiamo vivendo (de-globalizzazione) visto che portano ad una iniqua redistribuzione del Pil generato.

 

La nuova frontiera di intervento dello Stato secondo gli autori in questione dovrebbe essere quella dell’utilizzo delle politiche durante la produzione. Altri autori hanno, invece, opinioni che si situano agli antipodi. Credono che le politiche prima della produzione non siano state finora utilizzate pienamente e che la nuova frontiera delle policy per correggere il funzionamento del capitalismo dovrebbe invece percorrere la strada di un intervento sulla dotazione e sull’opportunità di famiglie e imprese, anche in congiunzione con altri sviluppi delle politiche dopo la produzione (si pensi alle innovazioni nel mercato del prodotto, del credito ed in quello assicurativo). Il rischio di attribuire un compito gravoso ed eccessivo alle politiche ‘durante la produzione’ potrebbe essere quello di ridurre gli interventi di ‘policy’ ad un commissariamento da parte dello Stato dell’attività produttiva in mano alle imprese e ad un condizionamento del loro operato. Dani Rodrik e la Stantcheva spingono per l’utilizzo di varie politiche durante la produzione giustificandole con la presenza di esternalità generate dalle decisioni produttive delle imprese.

 

L’innovazione tecnologica ad esempio potrebbe rendere superate tecnologie e competenze dei lavoratori, che potrebbero impattare negativamente con gli interessi delle comunità locali che hanno adottato le suddette tecnologie e competenze. Pertanto Rodrik e la Stantcheva auspicano che su queste materie vi sia un intervento correttivo dello Stato. A nostro avviso un errore marchiano: visto che sono delle esternalità che si limitano a ridurre il valore di altre tecnologie e di competenze obsolete. Ma questo non costituisce affatto un fallimento di mercato che deve essere corretto dall’intervento dello Stato. Al contrario, è solo la manifestazione del buon funzionamento del mercato. I nuovi valori di mercato forniscono, infatti, segnali per nuove scelte di investimento alle imprese e nuove scelte educative alle persone per stare al passo coi cambiamenti. Il che naturalmente non esclude che nella situazione attuale le politiche pubbliche (di tipo prima e dopo la produzione) possano accelerare e sostenere l’adattamento ai nuovi scenari che si dipanano in seguito a shock di varia natura che si manifestano sempre più frequentemente.

 

In Italia ci sono attualmente due visioni: una che spinge per una distribuzione del reddito col criterio dell’equità mentre un’altra con quello delle opportunità da rafforzare prima della produzione. Nel primo caso non si promuove lo sviluppo, si perpetua lo status quo e si redistribuisce un Pil più o meno stagnante. Nel secondo, invece, si ricerca lo sviluppo per redistribuire un reddito crescente.

Marco Boleo




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