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30/04/2021
40° anniversario della Laborem Exercens
una lettura fondamentale su lavoro come bene dell'uomo

Quarant’anni fa, nel 1981, Giovanni Paolo II promulgava l’enciclica Laborem Exercens, in cui affermava che il lavoro umano è la chiave centrale di tutta la questione sociale. Il lavoro è inteso come dimensione fondamentale di tutta l'esistenza umana: va ricercata, quindi, una più equa distribuzione delle risorse, del reddito e della ricchezza, ma anche e soprattutto del lavoro umano. Nell’enciclica viene condannato il consumismo dei Paesi sviluppati e si auspica una maggiore giustizia mondiale, mentre si chiede ai cristiani una maggiore sobrietà di vita.

La Chiesa guarda attentamente e con simpatia al nostro lavoro, specialmente in considerazione dell'evoluzione sociale ed economica che l'Europa e l'umanità intera stanno attraversando. Bisognerà, però, che i principi a cui ci ispiriamo e cioè la partecipazione, la corresponsabilità, la democrazia non si risolvano in astratte affermazioni ma siano tradotti praticamente nelle molteplici varie attività. E queste, per restare fedeli al Magistero della Chiesa, non potranno avere come fine solo l'accrescimento del «capitale» o del profitto individuale, ma debbono ricercare, al di sopra di tutto, il bene comune.

Cosi, in proposito, nella Laborem Exercens si deve prima di tutto ricordare un principio sempre insegnato dalla Chiesa: la priorità del lavoro nei confronti del capitale. Questo principio riguarda direttamente il processo stesso di produzione, in rapporto al quale il lavoro è sempre causa efficiente primaria mentre il capitale, essendo l'insieme di mezzi di produzione, rimane solo uno strumento o la causa strumentale. (n. 12).

Riaffermare il primato dell'uomo e quindi del lavoro sul capitale conferisce all’impresa di cooperazione un significato ricco di nuove possibilità ed è per questo il vivo incoraggiamento del Papa a proseguire il cammino, senza disporre di un criterio proprio per orientarsi ed anche, talvolta, per produrre nuove e più adeguate interpretazioni.

Evidentemente l'enciclica Laborem exercens rompe con questo tipo di pensiero. Bisogna però stare attenti a non pensare che essa ci riconduca alla Dottrina sociale della Chiesa preconciliare. Come in molti altri campi, anche in questo il Concilio ha posto un'esigenza inderogabile di personalizzazione e soggettivizzazione della fede. Il lavoro deve essere visto, anche e in un certo senso soprattutto, a partire dal punto di vista del soggetto che lo compie. Deve essere inteso come un atto umano, in cui si impegna la coscienza, la creatività, la libertà del soggetto.

Ciò comporta un’innovazione rispetto all'ottica soprattutto oggettivistica della dottrina sociale preconciliare. Ma non va però inteso nel senso di una sua negazione o superamento. Tutte le verità valide un tempo continuano ad essere valide. Si tratta, però, di scoprire il modo adeguato in cui esse possono essere valide oggi, nel nostro tempo.

Per adempiere a questo compito la Chiesa deve, in un certo senso, assimilare lo spirito del Concilio, porsi essa stessa in stato di Concilio: vale a dire deve diventare sempre più consapevole del suo proprio movimento nella storia, del suo essere compagnia di Dio per un mondo continuamente in cammino. La dottrina sociale non sarà allora solo enunciazione di principi atemporali sottratti al mutamento (senza peraltro cessare di essere anche questo: l'uccisione dell'innocente non può mai diventare lecita in nessun contesto sociale e storico del passato, del presente o del futuro), ma anche dialogo di chierici, di laici, di studiosi delle diverse discipline scientifiche che si occupano direttamente o indirettamente dell'uomo, di operatori economici, di teologi, di filosofi, di sindacalisti, di imprenditori e di lavoratori per individuare nel contesto concreto le linee di azione - offerte volta per volta dalla situazione storica, geografica, sociale ed antropologica - che creano, conservano o fanno progredire forme umane e degne di vita per l'uomo. La dottrina sociale si fa dunque metodo di ricerca e di riflessione sociale che coinvolge nella sua elaborazione, sul solido fondamento posto dal magistero, tutta la comunità cristiana.

Certamente il lavoro, come problema dell'uomo, si trova al centro stesso di quella «questione sociale», a cui durante i quarant’anni trascorsi dalla menzionata Enciclica si volgono in modo speciale l'insegnamento della Chiesa e le molteplici iniziative connesse con la sua missione apostolica. Se su di esso desidero concentrare le presenti riflessioni, ciò voglio fare non in modo difforme, ma piuttosto in collegamento organico con tutta la tradizione di questo insegnamento e di queste iniziative. Al tempo stesso, però, faccio questo, secondo l'orientamento del Vangelo, per estrarre dal patrimonio del Vangelo «cose antiche e cose nuove». Certamente, il lavoro è una «cosa antica», tanto antica quanto l'uomo e la sua vita sulla terra.

La situazione generale dell'uomo nel mondo contemporaneo - diagnosticata ed analizzata nei vari aspetti geografici, di cultura e di civiltà - esige, tuttavia, che si scoprano i nuovi significati del lavoro umano, e che si formulino, altresì, i nuovi compiti che in questo settore sono posti di fronte ad ogni uomo, alla famiglia, alle singole Nazioni, a tutto il genere umano e, infine, alla Chiesa stessa.

Gilberto Minghetti
 




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