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04/05/2021
Debito pubblico: buono e cattivo
La crisi da Covid-19 ha portato ad un improvviso balzo all’insù del debito pubblico, che è andato a sommarsi agli già elevati rapporti debito/Pil pre-pandemici in molti Stati dell'UE

Probabilmente il numero di affermazioni disinformate sulla questione del debito pubblico è maggiore che su ogni altro argomento di macroeconomia. Così sentenziò l’economista olandese Willem H. Buiter anni fa. Attualmente il dibattito su ‘debito buono’ e ‘debito cattivo’ contribuisce con nuovi argomenti ad aumentare la disinformazione visto che esistono definizioni diverse. Cerchiamo di fare chiarezza in proposito partendo dal dibattito europeo. Le discussioni in Europa al momento ruotano su tre problematiche particolarmente rilevanti per i mesi a venire: (1) gli elevati livelli di debito raggiunti dagli Stati membri che cercano di superare la crisi; (2) la necessità di una pianificazione fiscale efficace a medio termine; e (3) l'importanza della qualità della finanza pubblica.

La crisi da Covid-19 ha portato ad un improvviso balzo all’insù del debito pubblico nei singoli Stati, che è andato a sommarsi agli già elevati rapporti debito/Pil pre-pandemici. Uscendo dalla crisi finanziaria globale più di un decennio fa, i Governi sarebbero dovuti tornare a livelli di debito più bassi approfittando della ripresa economica. Alcuni Stati membri ci sono riusciti, altri molto meno, altri ancora per niente. Vari fattori erano in gioco come la bassa crescita e problemi economici strutturali irrisolti che hanno impedito ai Governi di approfittare di tempi economici favorevoli per (ri)costituire avanzi di bilancio. Naturalmente, ora tutti gli sforzi sono e dovrebbero essere concentrati per garantire una ripresa rapida della crescita. Costi quel che costi in termini di maggior debito. Questo punto viene sottolineato da più parti. Nel contempo, le previsioni elaborate riportano che il rapporto debito/Pil raggiungerà un ‘plateau’ nei prossimi mesi: con gli scenari futuri che vanno da una graduale diminuzione verso i livelli di debito pre-crisi, a rapporti debito/Pil in aumento o in stallo a seconda delle condizioni iniziali. Inoltre, il debito pubblico implicito, poco attenzionato, derivante da richieste previdenziali pre-esistenti e dalle garanzie di welfare estese durante la pandemia, minaccia la sostenibilità del debito stesso ma al momento non è nota la sua reale entità. Alla fine, tutte le previsioni contemplano sfide per il futuro e tutte richiedono una finanza pubblica di qualità basata sul ‘debito buono’ per fare in modo che la crescita generata dagli investimenti, via la crescita del Pil, stabilizzi il rapporto debito/Pil ad un certo livello.

Negli ultimi anni, i tassi di interesse bassi hanno contribuito a contenere il costo del servizio del debito nonostante i livelli del debito in ascesa, garantendo in tal modo la sostenibilità. La politica monetaria dal canto suo è stata accomodante nell'ultimo decennio e di fronte alla crisi in corso ha reagito rapidamente con ulteriori nuovi strumenti di policy non convenzionali, primo fra tutti il Programma di Acquisto per l’Emergenza Pandemica (PEPP) dei titoli del debito pubblico emessi dai singoli Stati per finanziare la lotta alla pandemia. Nel contempo, le  autorità  monetarie, vincolate dal limite inferiore raggiunto da tassi di interesse nominali (insomma dal fatto che non possano più diminuire), guardano anche alla politica fiscale per fornire un supporto non convenzionale ai fini della stabilizzazione economica. In altre parole questo significa che l'indipendenza della Banca Centrale non dovrebbe essere utilizzata come un argomento contro un possibile intreccio tra la politica monetaria e quella fiscale. Un mix di politiche appropriato e, quindi, il loro coordinamento è stato raramente così efficace come in questo momento. Mentre i mercati finanziari si aspettano che i tassi di interesse reali rimarranno bassi per qualche tempo, la BCE dovrà tenere sott'occhio l'inflazione, con i Governi dei singoli Stati che non potranno contare su una continuazione all’infinito delle politiche attuali. Di conseguenza, mentre nell'attuale contesto di bassi tassi di interesse l'emissione di debito potrebbe sembrare un pasto gratis, in realtà sembra improbabile che questa situazione possa continuare per molto. Pur essendo vero, che i tassi di interesse sono stati sistematicamente inferiori ai tassi di crescita del Pil nella storia recente per le economie sviluppate, infatti, non v’è alcuna garanzia che il differenziale negativo  di crescita degli interessi continuerà indefinitamente. Per questo, i Governi dovranno fronteggiare una maggiore sensibilità della sostenibilità del debito a rialzi dei tassi di interesse o a crolli persistenti della crescita del Pil.

Alcuni Stati membri dell'UE, con in testa l’Italia, hanno già sofferto di una bassa crescita prolungata. Uno dei compiti fondamentali sarà quello di rafforzare la crescita potenziale al fine di allentare la pressione sul finanziamento del debito. In un siffatto contesto, la qualità della finanza pubblica è al centro dell'attenzione. A parte, infatti, la discussione su quanta spesa dovrà essere finanziata in deficit e quanta con la tassazione, gran parte del dibattito recente si è concentrato sull'allocazione della spesa pubblica. Il punto cruciale, infatti, non è quanto spende il Governo ma come e per cosa. Per estensione, questo vale anche per la spesa finanziata col debito. C’è un debito "buono" (per ricerca & sviluppo, istruzione, infrastrutture e ospedali) e un debito "cattivo" (per spese improduttive). Questa logica è rilevante non solo per le misure di sostegno messe in campo dai Governi in questo momento, ma anche nella fase di stabilizzazione del debito.

In passato, i Governi dell'UE hanno seguito la tendenza a ridurre in modo sproporzionato gli investimenti pubblici piuttosto che la spesa corrente per rispettare i parametri di Maastricht. Errori che non andrebbero ripetuti di nuovo. Visto che il debito pubblico dovrebbe servire a due cose se il Governo che lo crea facesse l’interesse dei governati: ad attenuare gli shock economici (come quello pandemico in corso) ed a finanziare investimenti in conto capitale. In futuro l’errore che non andrebbe commesso è quello da parte di Bruxelles di imporre agli Stati dell’Eurozona, passata la pandemia, di ridurre lo stock di debito pubblico reintroducendo i parametri di Maastricht seppur modificati seguendo le indicazioni del ‘Fiscal Board’ coordinato dal danese Niels Thygesen. Il debito andrebbe reso sostenibile e basta, garantendo solo che il costo del debito sia inferiore alla crescita del Pil e che la spesa pubblica nominale resti costante. Nel senso che se i Governi futuri vorranno spendere dovranno tassare, e i cittadini se ne accorgerebbero. Oppure potranno creare una capacità per spese future solo riducendo le presenti.

C’è da essere fiduciosi sulla creazione del ‘debito buono’ per il fatto che il Recovery and Resilience Facility (RRF) attivato dalla Commissione Europea condizionerà l’operato dei Governi. Si tratta di una opportunità unica per dimostrare la fattibilità di un tale strumento dell'UE, consolidando così le ragioni per un rafforzamento della capacità di bilancio centralizzato a livello di Unione Europea. La distribuzione asimmetrica delle sovvenzioni del RFF non solo sostiene gli Stati membri colpiti in modo sproporzionato dalla pandemia, ma incidentalmente anche quelli con livelli di debito elevati. Inoltre i pacchetti di riforme di accompagnamento da delineare e da approvare nei Piani di Ripresa e di Resilienza nazionali hanno il potenziale per migliorare strutturalmente la qualità della finanza pubblica nei singoli Stati. In questo modo l’RRF se implementato con successo potrà svolgere un ruolo importante per consentire agli Stati membri di stabilizzare in futuro la crescita del loro debito e di renderlo sostenibile, e questa è un'opportunità che l'Europa non può permettersi di perdere.

Marco Boleo




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