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10/07/2020
Una politica svuotata di contenuti
Drammaticamente ora, che di idee e visioni ci sarebbe un gran bisogno

Il 4 settembre 1977, chi scrive sarebbe nato qualche settimana dopo, Giovanni Testori iniziò la propria collaborazione al Corriere della Sera con un articolo intitolato “La cultura marxista non ha più il suo latino”. In quello scritto non meno “corsaro” dei pasoliniani, nel senso del Pier Paolo di cui andava a occupar lo spazio di commento sul giornale-sistema, denunciava la progressiva trasformazione degli “atti rivoluzionari” in “atti bancari”. Sono passati oltre quattro decenni da quell'elzeviro, secondo la narrazione dominante almeno un paio di fasi della nostra Repubblica, quella cultura egemone si è ampiamente suicidata (come lucidamente profetizzato da Augusto Del Noce) e noi, per dirla con un Marx da bignamino, assistiamo al parossistico replicarsi in farsa della faccenda.

Tutta la politica, mero esercizio di potere fluido tanto per chi governa quanto per chi gioca all'opposizione, appare svuotata di contenuti. Drammaticamente ora, che di idee e visioni ci sarebbe un gran bisogno. Non sempre, poi, va onestamente aggiunto, le forze sociali (quelle che si chiamano, senza sempre riuscire ad esserlo alla prova dei fatti, “i corpi intermedi”) riescono a portarsi in campo in modo autenticamente propositivo.

In un fondo del primo giugno scorso, su un Corrierone ben più debole rispetto a quello di quarant'anni fa, Paolo Franchi pone in evidenza come “Colpisce, nel nostro tempo sospeso, la miseria di quello che una volta veniva chiamato, un po’ pomposamente, il dibattito pubblico. Non è una novità, purtroppo. Mai come in questi mesi, però, alla faccia del mantra 'Nulla sarà come prima', abbiamo vissuto in una prolungata astinenza da idee, proposte, progetti. Ci si accapiglia senza costrutto sulla destinazione delle risorse erogate a pioggia per cercare di lenire gli effetti devastanti della crisi, sulle mascherine, sulle ronde. Ma del domani, invece, sembra che nessuno voglia, o sappia, discutere seriamente”.

Non c'è alcun latino (il latinorum manzoniano forse, ma sempre alla farsesca truffa stiamo). Tutto è volgare (in tutte le sfumature di senso, anche le miserrime, del termine). Osservando lo scenario attuale, almeno.

Dobbiamo cedere, quindi, alla convinzione dell'impossibilità di riabilitare la politica? Rassegnarsi a che tutto sia ridotto, in salsa populista oppure tecnocratica, al trinomio comunicazione vuota- logica del mero consenso-occupazione del potere? Ci può ancora essere, al contrario, per richiamare il sottotitolo del recente libro di Alessandro Barbano, “Una proposta politica per cambiare l’Italia”?

Trovare risposte assolute (e soprattutto puntualmente definite) non è facile, ma non pare ragionevole arrendersi alla disperazione. La ripartenza è possibile. I cattolici avrebbero un loro latino, purtroppo per i più tra essi autentico “mistero della fede”: la Dottrina Sociale della Chiesa, di cui va osata una declinazione adeguata ai tempi e non titubante sul punto della “sovranità come qualità della democrazia”.

Oltre la difesa solitaria del proprio particulare, d'altronde, c'è solo la politica. E la prima politica è vivere.

Marco Margrita




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