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26/11/2025
Le divisioni all'interno del Comitato Esecutivo della Federal Reserve
La leadership della Federal Reserve (Fed), sotto il governatorato di Jerome Powell, sembra aver predisposto nel recente passato le condizioni per rendere politicamente e istituzionalmente sostenibile un ulteriore taglio dei tassi

Dedico questa analisi al compianto Gilberto Minghetti, recentemente scomparso, che su questo blog insieme al sottoscritto dava conto dei provvedimenti di politica monetaria attuati dai responsabili delle due tra le più importanti Banche Centrali del G-7.

La leadership della Federal Reserve (Fed), sotto il governatorato di Jerome Powell, sembra aver predisposto nel recente passato le condizioni per rendere politicamente e istituzionalmente sostenibile un ulteriore taglio dei tassi nella riunione del prossimo mese, nonostante un Comitato Esecutivo profondamente diviso. L’insolita frammentazione interna accentua il ruolo arbitrale del Governatore, cui spetta più che in passato la definizione della direzione finale della politica monetaria. In questo contesto, Powell si trova a dover ponderare due strategie alternative, entrambe associate a rischi non trascurabili. Una prima opzione consisterebbe nell’allinearsi alle aspettative dei mercati — che danno ormai per scontata una nuova riduzione — e nell’intervenire comunicativamente attraverso la dichiarazione post-riunione: sottolineando l’esigenza di condizioni più stringenti per ulteriori abbassamenti in futuro. Tale approccio del 'tagliare e poi mantenere” ricalcherebbe quello adottato nel 2019 dallo stesso Jerome Powell, quando una serie di tre tagli fu approvata nonostante una significativa opposizione all' interno del Comitato. Una seconda, invece, prevederebbe il mantenimento dei tassi invariati fino a gennaio, rinviando ogni ulteriore decisione ad un momento in cui i funzionari disporranno di dati più completi su inflazione e occupazione, temporaneamente carenti a causa dello shutdown del Governo federale. Tuttavia, tale rinvio potrebbe prolungare ed amplificare il dissenso pubblico, senza garantire una maggiore convergenza interpretativa una volta disponibili nuovi dati. La spaccatura riflette la natura ambigua delle attuali dinamiche macroeconomiche: da un lato, un rallentamento dell’occupazione; dall’altro, un’inflazione persistentemente superiore all’obiettivo del 2%. Tale combinazione mostra tratti riconducibili ad un contesto di potenziale stagflazione (ristagno economico con inflazione), come osservato da Tom Barkin, Governatore della Fed di Richmond, secondo il quale l’assenza di miglioramenti simultanei su entrambi i fronti rende impossibile 'cantare vittoria'. La valutazione finale di Powell dipenderà dunque dalla ponderazione dei rischi: se sia insomma più probabile, e nel contempo più difficile da correggere, un errore da eccessiva restrizione o, al contrario, da politica monetaria eccessivamente espansiva. I due tagli consecutivi già effettuati hanno collocato il tasso di interesse di riferimento in un intervallo compreso tra il 3,75% e il 4%: principalmente per contenere i rischi connessi al deterioramento del mercato del lavoro, nonostante un’inflazione che permane intorno al 3%. Un ulteriore taglio a dicembre sarebbe coerente con la strategia illustrata da Powell in agosto nel Simposio di Jackson Hole, volta ad avvicinare i tassi al livello 'neutrale', in un contesto in cui i rischi inflazionistici derivanti dai dazi si sono attenuati e la debolezza occupazionale è divenuta la preoccupazione prevalente. Due tra i principali alleati del Governatore nel Federal Open Market Committee (FOMC), secondo quanto riportato da New York Times, hanno recentemente lasciato intendere che la leadership non abbia abbandonato tale orientamento. John Williams, presidente della Fed di New York, ha affermato di intravedere 'margini per un ulteriore aggiustamento nel breve periodo' allo scopo di avvicinare la stance (precisare) monetaria alla neutralità. La scelta terminologica, soprattutto l’espressione 'nel breve periodo', sembrerebbe suggerire che un taglio possa essere considerato l’opzione a minor costo atteso. Egli ha inoltre ribadito la necessità di riportare l’inflazione al 2%, pur evitando di creare 'rischi eccessivi' per il mercato del lavoro; dopo tali dichiarazioni, la probabilità implicita nei mercati finanziari di un taglio a dicembre è salita dal 40% a circa il 70%. Mary Daly, Governatore della Fed di San Francisco e figura vicina a Powell (benché non votante nell’anno corrente), ha espresso un sostegno esplicito ad un taglio, motivandolo con la maggiore probabilità e gravità di un deterioramento improvviso del mercato del lavoro rispetto ad un’improvvisa accelerazione inflazionistica. Nel caso di un aumento dei prezzi dovuto ai dazi, ha osservato, vi sarebbe tempo per reagire; al contrario, un peggioramento dell’occupazione potrebbe verificarsi rapidamente e con effetti amplificati. Le posizioni di Williams e Daly risultano particolarmente rilevanti poiché intervengono dopo settimane in cui gli oppositori del taglio hanno dominato il dibattito all'interno del FMCO. Già a settembre il sostegno ad un ulteriore allentamento monetario si era rivelato precario, con una maggioranza minima tra i 19 partecipanti alla riunione. Considerato che solo 12 di essi dispongono del diritto di voto, e non si registrano decisioni con più di tre dissensi dal 1992, è evidente che un ulteriore taglio rischierebbe di accentuare la frattura interna. La frattura si è accentuata dopo la riduzione dei tassi d'interesse base di ottobre: quattro Governatori regionali votanti, incluso uno che aveva già dissentito, hanno espresso preoccupazioni per l’eventualità di un terzo taglio. Essi segnalano che l’inflazione elevata riguarda non solo i beni soggetti a dazi, ma anche i servizi interni, suggerendo una pressione inflazionistica più diffusa. Temono inoltre che la Fed stia convergendo troppo rapidamente verso la neutralità, mentre sarebbe necessario mantenere una postura restrittiva per garantire il ritorno dell’inflazione su livelli compatibili con l’obiettivo. A incarnare tale mutamento di posizione è Susan Collins, Governatore della Fed di Boston: pur avendo sostenuto il taglio di ottobre, ha recentemente dichiarato di essere 'titubante' riguardo ad ulteriori riduzioni, sottolineando che l’attuale livello, 'lievemente restrittivo', potrebbe essere essenziale per contenere le pressioni sui prezzi. Dato il vigore della domanda e condizioni finanziarie relativamente favorevoli, ha aggiunto, non vi sarebbe 'urgenza' di un ulteriore allentamento. Anche Robert Kaplan, già Governatore della Fed di Dallas e oggi alla Goldman Sachs, considera fondate le preoccupazioni espresse dai contrari al taglio. Egli osserva che, man mano che i tassi si avvicinano alla 'neutralità', la politica monetaria presenta un’asimmetria: è più agevole intervenire a sostegno dell’economia qualora risultasse più debole del previsto, mentre risulterebbe più difficile contrastare un’inflazione ostinata con tassi troppo bassi per imprimere un effetto restrittivo. Kaplan aggiunge tuttavia un elemento di lettura politica interna: è possibile che un funzionario solo moderatamente contrario ad una decisione finisca per appoggiare la posizione espressa dal Governatore Powell, riconoscendo, come egli stesso ha fatto in passato, che nessuno possiede certezze sufficienti a definire con assoluta certezza la decisione ottimale.

 

 




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