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18/09/2025
La Cina ed i BRICS si libereranno dal giogo del dollaro?
Un recente articolo pubblicato dal settimanale inglese ‘The Economist’ consente di occuparci di un tema di cruciale attualità: la Cina sta riuscendo a liberarsi dalle grinfie del dollaro? Una vecchia questione! Almeno dal momento

Un recente articolo pubblicato dal settimanale inglese ‘The Economist’ consente di occuparci di un tema di cruciale attualità: la Cina sta riuscendo a liberarsi dalle grinfie del dollaro? Una vecchia questione! Almeno dal momento in cui la Cina ha cominciato il suo percorso verso il predominio industriale e tecnologico a livello mondiale, di pari passo ci si è interrogati sul ‘se’ e sul ‘quando’ Pechino avrebbe provato a soppiantare la valuta americana. Dominare il mondo con la propria moneta (valuta) nazionale è ovviamente un grande vantaggio: ‘un privilegio esorbitante’ per utilizzare le parole di Giscard d'Estaing, allora ministro delle Finanze. Il politico francese definiva, in questo modo, negli anni Sessanta il vantaggio di cui godevano gli Stati Uniti nel sistema monetario internazionale. Tuttavia, possedere la valuta di riserva internazionale significava avere parimenti grandi responsabilità, ed a Pechino per molti anni ha fatto comodo commerciare in dollari senza avere problemi di sorta. Ora però la situazione è cambiata notevolmente. Lo scontro tra blocchi, rintuzzato dalle politiche commerciali trumpiane a partire dal suo secondo mandato, è su tutti i fronti e proprio come sarebbe assurdo comprare armi dal nemico, sarebbe insensato lasciargli in mano l’arma della valuta ed in generale del sistema dei pagamenti. La cosiddetta ‘weaponizzazione’ dei pagamenti è stata usata nel tempo più volte per mettere in difficoltà paesi con cui l’Occidente era belligerante. A questo punto, Cina, Russia ed in generale il blocco antiamericano (i BRICS) devono pensare ad un sistema monetario internazionale senza dollaro. Naturalmente la cosa è più facile a dirsi che a farsi, ma pare che la Cina sia riuscita, grazie ai dazi trumpiani, a fare grandi passi in questa direzione compattando interessi comuni. I leader cinesi, scrive il ‘The Economist, intravedono un'opportunità epocale. La politica commerciale ondivaga del Presidente Trump, i deficit ‘gemelli’ (fiscale e commerciale) esorbitanti e le minacce all'indipendenza della Federal Reserve americana rischiano di danneggiare irrimediabilmente il dollaro. Da gennaio scorso, il dollaro è crollato del 7% su base ponderata per gli scambi commerciali, registrando il peggior inizio d'anno a partire dal lontano 1973. Al contrario, la valuta cinese: lo yuan, rigidamente controllata dallo Stato, ha toccato il livello più alto da quando Trump è stato rieletto lo scorso novembre. Gli investitori stranieri arrivano in massa. Così come molti Governi cercano alternative al dollaro … ' Negli ultimi anni hanno ottenuto risultati sorprendenti. La quota dello yuan nelle fatturazioni e nei prestiti esteri è aumentata e si è assistito ad un'impressionante creazione di infrastrutture finanziarie non in dollari’. Tuttavia ‘Sebbene la Cina sia responsabile di quasi un quinto dell'attività economica globale, la sua valuta viene utilizzata solo nel 4% dei pagamenti internazionali in termini di valore (rispetto al 50% del dollaro). Con le attività finanziarie espresse in yuan che rappresentano solo il 2% delle riserve valutarie delle Banche Centrali globali (rispetto al 58% degli asset in dollari). Gran parte di questa discrepanza può essere attribuita ai controlli cinesi sui flussi di capitali sia in entrata che in uscita dal Paese’. Solo che ‘Molti economisti ritengono che internazionalizzare lo yuan sia impossibile finché questi controlli resteranno in vigore’. Questa è la contraddizione chiave con cui la Cina dovrà fare i conti al più presto. Per dominare il mondo con la propria valuta, si deve accettare che chi domina il mondo, ossia il capitale finanziario, ne possa disporre a suo piacimento. La dirigenza cinese non vuole fare questo passo che implicherebbe una forte perdita di potere economico e politico. Osserva i Governi occidentali, i quali sono marionette delle borse, incluso il Presidente degli USA Trump, che ad ogni forte correzione dei mercati finanziari deve precipitarsi a ricalibrare la linea politica, per capire che fine farebbero anche loro. Ad ogni modo, possono intanto cominciare a muoversi da ciò che controllano. Così ecco che ‘Oltre il 30% degli scambi commerciali cinesi di beni e servizi avviene ora nella propria valuta (rispetto al 14% nel 2019). Il Paese regola oltre il 50% delle sue entrate transfrontaliere totali (inclusi i flussi finanziari) in yuan, rispetto a meno dell'1% nel 2010”. Inoltre ‘A maggio, le autorità hanno comunicato alle grandi banche che almeno il 40% dei prestiti per agevolare gli scambi commerciali avrebbero dovuto essere erogati in yuan. Per aumentare la circolazione, i funzionari vogliono incoraggiare i partner commerciali ad accettare la valuta cinese come mezzo di pagamento’ usando le sanzioni occidentali come leva per questa transizione. Considerando che oramai la Cina ha inondato il mondo con i suoi prestiti, questa strategia potrebbe funzionare: ‘Da quando ha iniziato la sua spinta all'internazionalizzazione, la Cina ha fornito 4,5 trilioni di yuan (630 miliardi di dollari) in linee di swap a 32 Banche Centrali, creando una rete di sicurezza finanziaria globale che rivaleggia con quella garantita dal Fondo Monetario Internazionale (FMI). Inoltre, la Cina ha anche sviluppato la propria infrastruttura finanziaria: ‘Ora può effettuare transazioni con altri paesi, senza passare per il dollaro, in molti modi tra cui lo yuan digitale ed i pagamenti digitali non bancari … La più importante è CIPS, simile allo SWIFT, il sistema di messaggistica bancaria occidentale. …Oltre 1.700 banche hanno aderito al CIPS in tutto il mondo, un terzo in più rispetto a prima dello scoppio della guerra in Ucraina tre anni e mezzo fa. I volumi delle transazioni sono aumentati più rapidamente che mai nel 2024, con un incremento del 43%, raggiungendo i 175 trilioni di yuan (in dollari 24 trilioni).’ Che conclusioni possiamo ricavare da questi sviluppi? Scrive il ‘The Economist’: ‘La diminuzione della fiducia nel dollaro e un contesto macroeconomico favorevole potrebbero dare impulso agli sforzi della Cina’. Sarebbe presto molto probabile vedere emissioni in yuan anche da paesi quali l’Ungheria, il Pakistan ed il Brasile. Naturalmente la Cina non ha fretta alcuna, il suo scopo è quello di fare dello yuan ‘una valuta globale con caratteristiche cinesi’. Così come il capitalismo in Cina si è sviluppato con caratteristiche molto peculiari e sotto la guida del partito comunista centrale, o almeno presunto tale, anche l’internazionalizzazione dello yuan non seguirà per forza di cose l’itinerario seguito dal dollaro quando sostituì la sterlina inglese al centro del sistema monetario internazionale prevalentemente dopo il secondo conflitto mondiale. In seguito agli accordi di Bretton Woods nel 1944. Staremo a vedere.




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