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23/06/2025
Gli interventi correttivi sul funzionamento del capitalismo
Gli economisti Dani Rodrik e Stefanie Stantcheva in uno scritto recente riassumono magistralmente le varie proposte emerse nel dibattito in corso sull’auspicata ‘riforma del capitalismo’: preso atto che questa forma di ‘organizzazione

Gli economisti Dani Rodrik e Stefanie Stantcheva in uno scritto recente riassumono magistralmente le varie proposte emerse nel dibattito in corso sull’auspicata ‘riforma del capitalismo’: preso atto che questa forma di ‘organizzazione produttiva’ nella stagione che stiamo vivendo non garantisce più una prosperità inclusiva a tutti coloro che partecipano ai processi economici e sociali da esso generati. Gli interventi correttivi di politica economica dovrebbero consentire a tutti coloro che hanno condizioni e opportunità di partenza (dotazioni iniziali) diverse di beneficiare della crescita economica e dell’adozione di nuove tecnologie che il processo capitalistico genera attraverso la ‘distruzione creatrice’. Utilizzando uno strumento
dell’algebra lineare: le matrici, combinano i livelli dei redditi percepiti dai lavoratori con gli eventuali interventi correttivi. La matrice considerata è ‘tre righe per tre colonne’. Dove nelle righe ci sono considerati tre livelli di reddito percepito dai consumatori-lavoratori (uno basso, uno medio, ed uno elevato). Sulle colonne, invece, tre tipi di interventi di politica economica a seconda della loro tempistica con le tre fasi del processo produttivo capitalistico (all’inizio del processo, durante, e a produzione avvenuta). Nel primo caso gli interventi influenzano le dotazioni iniziali che le persone portano nell’arena del mercato, quali istruzione e bagaglio di competenze, capitale finanziario, reti sociali e capitale sociale derivanti dalla comunità di appartenenza. Mentre quelle dopo la produzione sono le tradizionali politiche socialdemocratiche’ ereditate dal trentennio glorioso (1945-1975): trasferimenti condizionati a imprese e famiglie, sussidi di disoccupazione, e la tassazione progressiva dei redditi che influenza la loro distribuzione tra i livelli di reddito percepito. Le politiche praticate dallo Stato, invece, durante la produzione sono quelle che condizionano direttamente le decisioni delle imprese in materia di occupazione, investimento e innovazione. Stiamo parlando del salario minimo garantito, delle licenze per poter svolgere l’attività imprenditoriale, della regolamentazione del funzionamento del mercato del lavoro, e dei ‘tavoli’ di concertazione tra i diversi portatori d’interessi nell’arena decisionale. Ad avviso degli autori le politiche economiche implementate all’inizio e dopo il processo
produttivo non sono più efficaci nella stagione che stiamo vivendo (di de-globalizzazione) considerato che portano ad una iniqua redistribuzione del Pil generato. La nuova frontiera di intervento dello Stato dovrebbe essere quella dell’utilizzo delle misure di politica economica durante il processo produttivo. Altri autori, invece, hanno opinioni che si situano agli antipodi. Credono che le politiche prima della produzione non siano state finora utilizzate con convinzione e che la nuova frontiera delle politiche economiche per correggere il funzionamento del capitalismo dovrebbe invece percorrere la strada di un intervento sulla dotazione e sull’opportunità di famiglie e imprese, anche in congiunzione con altri sviluppi delle politiche dopo la produzione (si pensi alle innovazioni nei mercati del prodotto, del credito e di quello assicurativo). Il rischio di attribuire un compito gravoso ed eccessivo alle politiche ‘durante la produzione’ potrebbe essere quello di ridurre gli interventi di ‘policy’ ad un commissariamento da parte dello Stato dell’attività produttiva portata a termine dalle imprese e ad un condizionamento del loro operato. Dani Rodrik e la Stantcheva sponsorizzano  l’utilizzo di vari interventi di politica economica durante la produzione giustificandoli con la presenza di esternalità generate dalle decisioni produttive
delle imprese che devono essere corrette. L’innovazione tecnologica, ad esempio, potrebbe rendere superate tecnologie adottate dalle imprese
e competenze acquisite dai lavoratori, che potrebbero impattare negativamente con gli interessi delle comunità locali che hanno impiegato le suddette tecnologie e competenze. Pertanto Rodrik e la Stantcheva auspicano che su queste materie vi sia un intervento correttivo dello Stato. A mio avviso una visione sbagliata: visto che sono delle esternalità che si limitano a ridurre il valore aggiunto di altre tecnologie e di competenze obsolete. Ma questo non costituisce affatto un fallimento di mercato che deve essere corretto dall’intervento dello Stato. Al contrario, è solo la manifestazione del buon funzionamento del mercato. I nuovi valori di mercato forniscono, infatti, segnali per nuove scelte di investimento alle
imprese e nuove scelte educative ai lavoratori per stare al passo coi cambiamenti. Il che naturalmente non esclude che nella situazione
attuale le politiche pubbliche (di tipo all’inizio e dopo la produzione) possano accelerare e sostenere l’adattamento ai nuovi scenari che si dipanano in seguito a shock di varia natura che si stanno manifestando negli ultimi tempi sempre più frequentemente. In Italia ci sono attualmente due visioni opposte: una che spinge per una distribuzione del reddito col criterio dell’equità mentre un’altra con quello delle opportunità che devono essere rafforzate prima della produzione. Che cosa accade? Nel primo caso non si promuove lo sviluppo, si perpetua lo status quo e si redistribuisce più equamente un Pil più o meno stagnante. Nel secondo, invece, si ricerca la crescita allo scopo di redistribuire in futuro un reddito crescente.




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