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08/04/2024
Le radici del nazionalismo argentino
Gli ultimi 70 anni circa sono stati decenni di declino e conflitti politici, interrotti da periodi più brevi di crescita e stabilità.

Il collasso finanziario ed economico dell’Argentina nel 2001 ha accelerato la trasformazione di una società che si considerava europea in una compiutamente latinoamericana, con una grande economia sommersa, povertà diffusa e clientelismo politico (alimentato dal voto di scambio). Gli ultimi 70 anni circa sono stati decenni di declino e conflitti politici, interrotti da periodi più brevi di crescita e stabilità. Nel suo libro ‘The Invention of Argentina’ Nicolas Shumway, ora professore emerito alla Rice University di Houston, concentra la sua storia intellettuale e culturale sulle radici del nazionalismo argentino del XIX secolo e sulle sue ‘finzioni guida’. La sua tesi è che ‘questa eredità ideologica è in un certo senso una mitologia dell’esclusione piuttosto che un ideale nazionale unificante, una ricetta per la divisione piuttosto che per il pluralismo consensuale’. Quell’eredità ha plasmato gli ultimi 100 anni e si nasconde dietro i conflitti sociali, tra ricchi e poveri, tra capitale e lavoro, che hanno segnato il lungo declino del Paese. Per gran parte del tempo il paese è stato governato dal peronismo, l’amorfo movimento populista fondato da Juan ed Eva Perón e profondamente radicato nel tessuto sociale. Eppure l’Argentina, la cui popolazione discende principalmente da immigrati provenienti dall’Europa, in particolare dall’Italia e dalla Spagna, è anche un paese di immensa capacità creativa. Jorge Luis Borges, che scrisse poesie e racconti contenenti enigmi metafisici, fu uno dei più grandi scrittori del XX secolo, sebbene scrisse poco del suo paese natale. Dalla musica del tango al cinema e al calcio, l'Argentina ha lasciato il segno nel mondo. Le sue classi intellettuali, ancora segnate da una brutale dittatura militare e dalla guerriglia urbana negli anni ’970, sono inclini a meditare autoanalisi: non per niente Buenos Aires ha più psicoanalisti pro-capite di qualsiasi altra grande città al mondo. A pensare che dopo la fine della seconda guerra mondiale l’Argentina era una delle economie più prospere al mondo: il suo Pil rappresentava più di un quarto di quello di tutta l’America Latina.

Il reddito pro-capite la collocava tra i primi dieci Paesi del mondo e il primo del continente, con le sue esportazioni rappresentavano il 7% del commercio estero globale. La Pampa costituiva il suo granaio. A quei tempi l’Argentina si mostrava un Paese guida anche per quanto riguarda la legislazione sociale, con un tasso di alfabetizzazione superiore rispetto a quello di molti paesi europei e un sistema educativo fortemente inclusivo, visto che ne potevano usufruire anche le classi meno agiate della popolazione. Il crogiolo di quel cambiamento è stata l’estesa cintura urbana post-industriale che circonda la capitale, conosciuta come il conurbano (Grande Buenos Aires), che ospita quasi il 30% dell’intera popolazione argentina. In “El Nudo” (“Il nodo”, non ancora disponibile in inglese ed in italiano), Carlos Pagni, uno dei più importanti giornalisti argentini, racconta la storia del conurbano attraverso un mix di storia, sociologia e reportage [El Nudo: Por qué el conurbano bonaerense modela la política argentina. By Carlos Pagni. Planeta; 776 pages; $52]. La Grande Buenos Aires costituisce la base politica di Cristina Fernández de Kirchner, la peronista populista di sinistra che ha dominato la politica argentina per gran parte degli ultimi 20 anni. Mentre Juan Perón, l’inventore del peronismo proponeva ‘l'inclusione dei lavoratori’, la Fernández, secondo Pagni, porta avanti ‘la gestione della povertà’. Ciò avviene attraverso sussidi che il Governo non può permettersi. A meno di una crescita incontrollata del deficit pubblico. Questa politica però lega l’Argentina al sottosviluppo. Ed è questo nodo gordiano che Javier Milei, il Presidente in carica, sta cercando di sciogliere con molta fatica.

Rudi Rodriguez

 




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