Le ultime ‘Considerazioni finali’ del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco, lette a fine maggio, il cui mandato scadrà il prossimo novembre mi hanno spinto a compiere alcune riflessioni di carattere più generale sull’andamento dell’economia italiana e sul collocamento internazionale del nostro Paese. I fattori per consolidare la ripresa sono sostanzialmente due: i) la produttività e ii) il mercato per riallocare il lavoro ed il capitale verso impieghi più produttivi. Il livello di debito pubblico in rapporto al Pil raggiunto dall’Italia sarà sostenibile nei prossimi mesi-anni solo se il tasso di crescita reale del reddito sarà di almeno il 1,5% l’anno e ciò sarà possibile se il tasso di crescita della produttività sarà almeno di un 1% l’anno. Di fronte a ciò il dibattito pubblico si è concentrato esclusivamente su come spendere le risorse del PNRR e degli altri finanziamenti europei. Spenderli bene è importante ma il punto è un altro: come sostenere la domanda aggregata e come favorire la crescita nel medio periodo? I Governi è notorio guardano alle scadenze elettorali e non a cinque-dieci anni. Sul punto ii) le imprese dovrebbero essere lasciate libere di riorganizzarsi. In proposito l’utilizzo prolungato della cassa integrazione andrebbe disincentivato in modo da incoraggiare i lavoratori verso impieghi alternativi e non spegnerne la capacità e il desiderio di cercare un nuovo impiego a mano a mano che la crescita economica si consolidi sempre più e che offra più opportunità di lavoro. Nel caso le esportazioni risultino deboli, come attualmente per la bassa congiuntura della Germania, bisognerebbe spingere sulla domanda interna via detassazione e investimenti.
Va ricercato uno stimolo mentre l’economia cresce al di sotto del suo potenziale, che risulti neutrale nel medio periodo, e che ai produttori dei settori dove la domanda è rimasta robusta permetta di fare più profitto a compensazione delle perdite subite durante la pandemia. In sintesi, va messa al centro del sistema economico e sociale l’impresa interpretando realisticamente quale sia il vero motore del capitalismo di massa: industria e commercio e non certo l’assistenzialismo dissipativo sul quale il Governo italiano ha da sempre eccelso. Detto in altro modo, più si sostiene il ciclo di capitale centrato sulla dinamicità del mercato e meno servono interventi assistenziali e debito pubblico per bilanciare la disoccupazione. La competitività dell’economia italiana non si gioca più sui costi e sui prezzi ma su due fattori fondamentali: 1) l’innovazione e 2) l’istruzione, su cui il nostro paese rispetto alla media dei paesi dell’Eurozona è piuttosto indietro. I Paesi a seconda dei fattori produttivi che possiedono possono avere tre tipologie: a) ricchi di capitale fisico e umano; b) ricchi di capitale umano e poveri di quello fisico e c) poveri di capitale fisico e di capitale umano. In queste differenze risiederanno differenze nei costi relativi che implicheranno diverse specializzazioni nella produzione di beni e servizi e diversi livelli di salari che verranno corrisposti ai lavoratori. Nelle quali ogni Paese dovrà ricercare il proprio vantaggio comparato. I paesi del gruppo C si specializzeranno nella produzione di beni e servizi a basso contenuto di capitale fisico e umano e ad alto contenuto di lavoro: con salari relativamente bassi.
Mentre i paesi del gruppo a) si specializzeranno nella produzione di beni e servizi ad elevato contenuto di capitale fisico e umano, a basso contenuto di lavoro, e con salari relativamente alti. Ci sono poi i paesi appartenenti al gruppo b), quali l’Italia, che possiedono una certa tradizione culturale e storica, una istruzione di buon livello ma poco al passo coi tempi ed alla quale i Governi dedicano poca attenzione. Inoltre hanno un ambiente istituzionale, politico e culturale poco aperto agli investitori per cui il capitale fisico risulta piuttosto scarso. Siffatti Paesi hanno di fronte due opzioni: imboccare la strada dei paesi del gruppo c) e produrre beni e servizi a basso costo del lavoro ed avere bassi salari, oppure investire in capitale fisico e umano e in conoscenza, adottando le migliori strategie e tecnologie e permettendosi salari elevati ed alti livelli di benessere. Al di là delle determinanti strettamente economiche, la strada che imboccano spesso è determinata da fattori come le istituzioni, la politica e più in generale le scelte dei loro Governi. Utilizzare ad esempio i fondi europei per la decontribuzione del lavoro, va in senso contrario perché ne abbassa il costo e spinge le imprese a produrre beni e servizi il cui vantaggio comparato non dipende dalla tecnologia ma dal basso costo del lavoro ed a trascurare la produttività come via maestra al profitto. Nel brevissimo periodo tutto si tiene. Ma nel medio viene penalizzata la crescita con una produttività zero virgola qualcosa.
Marco Boleo