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31/03/2023
Per la crescita economica serve stabilitĂ  finanziaria
La politica monetaria ultra-espansiva attuata per spingere l'economia ha reso il sistema finanziario dipendente dai tassi d’interesse prossimi allo zero.

Nelle crisi degli ultimi quindici anni, i Banchieri Centrali sono divenuti grandi attori pubblici in drammi che riguardano tutte le nostre vite, inclusi i crolli del mercato finanziario, le minacce alla salute pubblica e le devastanti recessioni economiche che lasciano cicatrici profonde nel tessuto sociale. Dopo aver svolto un ruolo di primo piano nella crisi finanziaria globale del 2008 e nella pandemia da coronavirus, ora viene chiesto loro di ampliare il proprio portafoglio di responsabilità occupandosi anche dei rischi climatici. Ma il loro obiettivo fondamentale è sempre stato e sempre resterà quello di cercare di garantire la stabilità monetaria e quella finanziaria ed i recenti accadimenti ne sono la prova. Difficile garantire con gli strumenti che hanno a disposizione, visti i trade-off che devono fronteggiare, la stabilità del settore reale e di quello monetario. Ma ce ne occuperemo più in là. Quello che ho sempre cercato di fare nello spazio assegnatomi in questo blog della ‘Fondazione Italiana Europa Popolare’ è disvelare il mondo delle Banche Centrali, o almeno tento di farlo, spiegando con un linguaggio accessibile le tecniche analitiche, i kit di strumenti di policy e la semplice narrazione che i banchieri centrali usano per comprendere l'economia, attuare la politica monetaria, e comunicare le loro scelte ai decisori chiave ed al pubblico più ampio dei non addetti ai lavori. I fallimenti recenti della Silicon Valley Bank e del Credit Suisse hanno messo in luce la fallacia del metodo col quale viene regolato il sistema finanziario. I problemi che ora vediamo al suo interno sono sorti perché le autorità finanziarie hanno cercato di conciliare il terzetto impossibile: i) mantenere in carreggiata la crescita dei sistemi economici, ii) tenere l'inflazione sotto controllo e iii) garantire la stabilità finanziaria. Sulla carta né la Silicon Valley Bank (SVB) né il Credit Suisse avrebbero potuto fallire, grazie a tutte le misure messe in campo dopo la crisi globale del 2008.

L'idea è che tutti i rischi finanziari siano identificati e misurati, con una sorta di rischiometro, per essere impiegati dalle banche e dalle autorità finanziarie. Nel caso si avesse bisogno di più crescita economica, bisognerebbe ridurre i requisiti patrimoniali, come si è fatto nel marzo 2020, o richiedere più capitale se il rischio è troppo elevato, come si sarebbe dovuto fare prima del 2008. Il rischio gioca un ruolo chiave in questo perché l'ammontare del capitale è una funzione diretta della rischiosità di una banca. I casi del Credit Suisse e della Silicon Valley Bank hanno sfidato la moderna filosofia della regolamentazione. Tornando al terzetto impossibile. Le regolamentazioni finanziarie – sia di tipo micro, tra le quali Basilea III, sia di tipo macroprudenziale – giocano un ruolo chiave nel raggiungimento di questi obiettivi. Il problema è che non possono essere raggiunti contemporaneamente. Di conseguenza le Autorità di politica economica dovranno scegliere quelli che preferiscono, da qui il trilemma. Questo conflitto tra i tre obiettivi non era evidente nel decennio successivo alla crisi globale del 2008 perché tutti e tre erano sincronizzati. La politica finanziaria ha spinto la crescita economica attraverso il ‘quantitative easing’ ed ‘i tassi di interesse prossimi allo zero’, l'inflazione è rimasta vicina al suo obiettivo del 2% mentre la stabilità finanziaria era garantita. Ma quella era una pia illusione. La politica monetaria ultra-espansiva, attuata per spingere l'economia, infatti, ha reso il sistema finanziario dipendente dai tassi d’interesse prossimi allo zero. Le banche che hanno adattato le loro operazioni a questo ambiente non sono state viste come un problema perché avrebbero incontrato difficoltà solo se i tassi d’interesse fossero aumentati per frenare un eventuale rialzo dell’inflazione. Con un effetto collaterale. Quanto più a lungo la politica monetaria sarebbe rimasta ultra-espansiva, tanto più sarebbe aumentato in prospettiva il rischio sistemico. La conseguenza ultima della politica monetaria ultra-espansiva è stata quella di compromettere il terzo obiettivo, vale a dire la stabilità finanziaria.

Questo non avrebbe dovuto costituire un problema, poiché tutto ciò che le autorità monetarie dovevano fare era contenere il rischio raccogliendo capitali. Il problema però è che l’aumento del capitale quando l'economia non è in buona salute, è un provvedimento recessivo. Insomma l'elevata stabilità finanziaria è in conflitto col primo obiettivo, vale a dire la crescita economica. La moderna filosofia della regolamentazione mette le autorità finanziarie in una posizione scomoda senza buone frecce nella faretra. Nel caso si voglia che l'economia cresca per raggiungere il primo obiettivo, bisogna trascurare gli altri due. Mantenendo in prima battuta bassi i costi di finanziamento, limitando l'aumento dei tassi di interesse e alimentando l'inflazione. Mentre in seconda battuta, mantenendo il costo dei prestiti facilmente accessibile, il che significa che il capitale deve essere basso e la leva finanziaria elevata: alimentando però il rischio sistemico. La lotta all'inflazione spinge verso una recessione. Quando una Banca Centrale sceglie questa strada i prestiti diventano troppo onerosi e la stabilità finanziaria viene meno. L’erosione della posizione patrimoniale delle banche, danneggia la crescita e può portare perfino ad una recessione economica. Nel caso delle Banche Centrali degli Usa e dell’Eurozona. Negli anni, molti commentatori hanno sostenuto che la BCE, rispetto alla Federal Reserve, che ha un doppio mandato, stabilità dei prezzi e pieno impiego, fosse svantaggiata perché ha un solo obiettivo: la stabilità dei prezzi. Nella situazione che stiamo vivendo è più che mai evidente il vantaggio di avere una Banca Centrale (BC) con meno obiettivi. Le BC hanno a disposizione nella loro scatola degli attrezzi sostanzialmente due strumenti: i tassi d’interesse e la liquidità.

Nel medio-lungo periodo devono scegliere: visto che non possono controllare assieme il tasso d’interesse e la liquidità. Nel caso la BC optasse per il tasso di interesse sui prestiti interbancari a breve termine, dovrebbe garantire parallelamente tutto l’ammontare di riserve bancarie che il mercato monetario richiede a quel tasso di interesse. Nell’eventualità, invece, che scegliesse la liquidità, dovrà permettere che il tasso di interesse interbancario si aggiusti affinché la quantità di base monetaria utilizzata dalle banche come riserve, aggiungendosi alla base monetaria richiesta dal pubblico come circolante, porti il totale della base monetaria domandata al livello di quella offerta. Nel breve periodo può, con un certo margine, usare entrambi gli strumenti. Ora, se gli obiettivi sono due, come ad esempio l’inflazione e la stabilità finanziaria, la BC ha due strumenti per perseguirli. Seguendo la teoria della politica economica per una economia chiusa elaborata dall’olandese Jan Tinbergen e per una economia aperta da un altro premio Nobel: il canadese Robert Mundell. Nella fattispecie, utilizzerà il tasso di interesse per l’inflazione e la liquidità per la stabilità finanziaria e bancaria. Se, invece, la BC ha tre obiettivi, come la Federal Reserve (inflazione, pieno impiego, stabilità finanziaria) e due strumenti, si pone un problema: o un obiettivo dev’essere sacrificato, oppure si deve cambiare approccio e passare agli obiettivi flessibili ma così l’incertezza aumenta e con essa l’efficacia della politica monetaria. Troppi obiettivi possono far finire nei guai le Banche Centrali in una situazione nella quale si accentuino i trade-off tra crescita economica, stabilità dei prezzi e stabilità finanziaria.

Marco Boleo




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