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28/03/2023
Il rischio crac si sposta in Germania
Il caso Credit Suisse segnala che la riforma del sistema finanziario globale attuata dopo la grande crisi del 2008 non ha funzionato.

Non sono passate nemmeno due settimane dal salvataggio lampo del Credit Suisse per la regia del governo svizzero di raccordo con Ubs che un altro istituto europeo, forse quello più importante, sembra non stare sulle sue gambe. Deutsche Bank, principale banca tedesca, dall’azionariato quanto più eterogeneo possibile. La giornata horror di Deutsche Bank ha preso forma con un crollo tra i più sensazionali di una banca presso la Borsa di Francoforte: l’istituto è arrivato a perdere il 15% della sua capitalizzazione, per poi recuperare parzialmente. Tutto è cominciato nella notte, quando i credit default swap sulla banca, prodotti finanziari che consentono di assicurarsi contro il possibile fallimento di una società, spesso usati a scopi puramente speculativi, sono saliti al massimo. Le preoccupazioni riguardano infatti soprattutto i rischi connessi ai bond subordinati AT1, dopo che le autorità svizzere hanno deciso di azzerarne il valore in via prioritaria rispetto alle azioni nell’ambito dell’operazione di salvataggio e vendita ad Ubs di Credit Suisse. Alcune delle obbligazioni di questo tipo di Deutsche Bank sono state vendute in modo cospicuo negli ultimi giorni provocandone una caduta del prezzo e alzandone il rendimento fino al 23%. Gli ultimi anni dell’istituto tedesco non sono stati molto tranquilli. Poi sono saltati fuori dai bilanci i contratti derivati, ad alta tossicità (in Italia Mps è praticamente quasi saltata per aria per questi strumenti) e alcune operazioni sospette negli Stati Uniti, mentre nel 2019 si sono tentate, senza successo, le nozze con Commerzbank, seconda banca di Germania, dalla natura cooperativa.

C’è una fetta del sistema finanziario statunitense che forse non ha le spalle così grosse come si crede. Sulle recenti crisi che hanno colpito il sistema bancario in queste ultime settimane, il cui asse va da Zurigo alla California: come è stato possibile non accorgersi di un rischio così elevato, del potenziale impatto dei tassi su quella banca? C’erano tantissimi depositi presso la banca, molti dei quali molto grandi e tutti esposti ai tassi. Non si vedevano da parte della vigilanza Usa, atteggiamenti adeguati per queste crisi: ispezioni, visite controlli. Per questo, oltre il confine delle banche più robuste, ce ne sono molte che potrebbero avere problemi. Credit Suisse aveva i parametri a posto, ma erano dieci anni che la banca aveva dei guai: un business model che non funzionava, scandali, chiacchiere, multe. La banca elvetica aveva problemi diversi rispetto a SVB, più che altro c`è stato un crollo della fiducia. E proprio sui due rispettivi interventi, alcune considerazioni del governatore di Bankitalia, Ignazio Visco, che paragonava la tempestività dell’azione negli Usa con una certa lentezza di quella europea. Negli Stati Uniti non sono troppo abili a prevenire le crisi, ma quando la crisi arriva, l’intervento è massiccio e tempestivo. Ora, quando l’espansione monetaria del periodo pandemico ha fatto crescere i loro depositi a dismisura, queste banche si sono imbottite di titoli di Stato a lungo termine, ritenendoli (non senza ragione) strumenti sicuri che rendevano qualcosa (i tassi a breve erano a zero negli Usa).

Il caso Credit Suisse è più grave non solo perché rischiava di avere conseguenze in Europa a causa della dimensione e dei collegamenti di quella banca col sistema europeo (si tratta di una banca globalmente sistemica secondo le classificazioni internazionali), ma perché segnala che la riforma del sistema finanziario globale attuata dopo la grande crisi del 2008 non ha funzionato. La lezione l’hanno data le autorità europee nel loro comunicato stampa, in cui ribadiscono la corretta gerarchia dei creditori: prima gli azionisti, poi i detentori di titoli subordinate (AT1), poi gli altri creditori, infine i depositanti. La Bce ha fatto intendere che un rallentamento sui tassi non è all’ordine del giorno, nonostante i citati guai bancari, confermando che la politica monetaria e la politica della stabilità finanziaria hanno obiettivi e strumenti diversi, e che, per conseguenza agirà con decisione in entrambi i sensi. Infine, per quanto riguarda gli investitori in titoli azionari, l’espansione dei margini di interesse netti sarà minore di quanto previsto in precedenza e i volumi saranno inferiori, date le condizioni del credito più restrittive. Ciò avrà conseguenze per la crescita degli utili europei nel loro complesso, in quanto le banche dovrebbero essere il motore principale dell’EPS europeo nel breve e medio termine. La crescita degli utili delle banche europee sarà ancora positiva, ma meno di quanto si pensasse in precedenza. Le preoccupazioni per la contrazione del credito in considerazione del forte profilo di liquidità e di capitale delle banche europee richiamano alla prudenza.

Gilberto Minghetti




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