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17/03/2023
Lotta all’inflazione e stabilità finanziaria
Il non raggiungimento della stabilità macroeconomica è la minaccia più grave per quella finanziaria.

Per la prima volta dopo decenni, la politica monetaria si è trovata a gestire simultaneamente la lotta all'inflazione e la stabilità finanziaria. Tenendo conto dell’instabilità emersa negli ultimi giorni le Banche Centrali (BC) di tutto il mondo stanno affrontando una serie di sfide senza precedenti in condizioni di incertezza. L’inasprimento della politica monetaria per smorzare l'inflazione sta avvenendo mentre i mercati finanziari sono tesi e le vulnerabilità finanziarie sono diffuse: principalmente a causa di livelli storicamente elevati di debito pubblico e privato e prezzi delle attività gonfiati, in particolare quelli degli immobili. Fino alla metà degli anni '80 del secolo breve il controllo dell’inflazione non provocava ‘ricadute’ negative nel settore finanziario. Le flessioni della crescita del Pil, infatti, erano causate in gran parte dagli sforzi per frenare l'inflazione mentre la rigida regolazione del settore finanziario limitava le fragilità dovute al rialzo dei tassi. A partire dai ruggenti anni ‘80 con la liberalizzazione del sistema finanziario e con una inflazione generalmente bassa e stabile, le flessioni sono state tipicamente causate da boom finanziari che si sono trasformati in fallimenti, come durante la Grande Crisi Finanziaria iniziata nel 2008 ed innescata dalla crisi dei mutui sub-prime negli Usa. La recessione che ha accompagnato la lotta alla pandemia da Covid-19 negli ultimi tre anni è stata il risultato di politiche che hanno messo l'economia in ‘animazione sospesa’ per far fronte ad un'emergenza sanitaria che ha colto gli Stati impreparati. Il panorama attuale combina, invece, elementi di entrambi i tipi di recessione: reale e finanziaria, il che complica enormemente l’operato dei Banchieri Centrali. L'effetto di una manovra monetaria più restrittiva sull'economia e sul sistema finanziario ha un segno incerto.

Una cosa però è assodata e ce lo dicono i recenti accadimenti: se dovessero emergere tensioni finanziarie, la necessità di riportare l'inflazione all'obiettivo del 2% e di stabilizzare il sistema finanziario spingerebbe in direzioni opposte: verso un inasprimento dei tassi d’interesse per smorzare l'inflazione e verso un loro allentamento (o uno stop del rialzo) per alleviare lo stress del sistema finanziario che è divenuto evidente. Ad oggi non sappiamo con certezza perché l'inflazione abbia rialzato la testa all'improvviso, e con tale vigore, dopo essere rimasta dormiente per così tanto tempo. Quello che è acclarato è che la crisi derivante dal contrasto della pandemia da Covid-19 ha giocato un ruolo chiave, per tre motivi: 1) La domanda aggregata globale è rimbalzata con una forza sorprendente nel 2021, sia come conseguenza naturale della sua soppressione artificiale durante i lockdown, sia perché è stata sostenuta da politiche fiscali e monetarie senza precedenti attuate per sostenere l'attività imprenditoriale ed i redditi delle famiglie; 2) Lo spostamento indotto dalla lotta alla pandemia della domanda globale dai servizi ai beni è stato inaspettatamente persistente, il che ha messo le catene di approvvigionamento globali sotto un'enorme pressione, causando strozzature dal lato dell’offerta aggregata; 3) L'offerta globale in generale non è riuscita a tenere il passo della domanda drogata. Gli aumenti dei prezzi delle materie prime, che i singoli paesi tendevano a considerare come ‘shock dell'offerta’, riflettevano invece in larga misura le pressioni della domanda globale. L'invasione russa dell'Ucraina nel febbraio 2022 ha fatto poi il resto, spingendo i prezzi dell'energia e degli alimentari a livelli mai visti. I modelli macroeconomici delle Autorità Monetarie e di quelle Fiscali non hanno anticipato l’andamento dell'inflazione. A dire il vero, gli shock sono, per definizione, imprevedibili. Ma c'è di più in questo. I modelli macroeconomici in mano ai ‘policymaker’ tarati su una serie storica lunga di inflazione bassa e stabile: tendono a prevedere che l'inflazione tornerà spontaneamente all'obiettivo di circa il 2%. Presumendo altresì che i cambiamenti nel livello di inflazione non influenzino le relazioni economiche sottostanti, come la sensibilità dei salari e dei prezzi al rallentamento dell'economia. La realtà attuale sta mostrando, invece, che le dinamiche inflazionistiche sono più instabili. In questo scenario le Banche Centrali devono mantenere alta la guardia.

Il non agire con determinazione prendendo più a cuore la stabilità finanziaria potrebbe ridurre i costi a breve termine, ma solo a scapito di quelli più ingenti che si pagheranno lungo il percorso disinflazionistico. Più l'inflazione diventa radicata, più difficile risulterà sconfiggerla. Questo spiega perché le BC stanno rispondendo con forza all'attuale episodio di inflazione. A dire il vero, inizialmente hanno sottovalutato la forza e la persistenza delle pressioni inflazionistiche. Ma si sono affrettate a recuperare il ritardo in quello che è diventato il passaggio più sincronizzato e intenso alla stretta monetaria dalla seconda guerra mondiale, almeno se misurato in termini di tassi di interesse nominali (i tassi reali, che sono adeguati all'inflazione, sono variati di meno e rimangono relativamente bassi). Nel momento in cui scriviamo c’è chi vorrebbe che le BC diminuiscano l’entità dei rialzi se non addirittura li interrompano. Ma la lotta contro l'inflazione è tutt'altro che finita. E anche se i prezzi di alcune materie prime chiave si sono stabilizzati o hanno iniziato a diminuire, fornendo un sollievo essenziale e contribuendo a trascinare indietro l'inflazione, l'ultimo miglio del ritorno ad un obiettivo di bassa inflazione potrebbe essere il più difficile da percorrere. Ciò potrebbe mettere alla prova la resilienza del sistema finanziario e le recenti crisi bancarie ne sono l’esempio. Il miglior modo per garantire la stabilità finanziaria è quello di garantire quella macroeconomica. Nel caso le Banche Centrali si prendessero una pausa nei rialzi comunicati in precedenza o ne riducessero l’entità questo non eliminerebbe l’instabilità finanziaria ma la aggraverebbe. Le BC sarebbero costrette a fare restrizioni più forti e più repentine in futuro. Questo comportamento deluderebbe le aspettative del mercato, aumenterebbe l’inflazione effettiva e attesa e di conseguenza i rendimenti nominali delle obbligazioni a lunga scadenza. Non c’è un trade-off tra stabilità finanziaria e stabilità macroeconomica. Il non raggiungimento della stabilità macroeconomica è la minaccia più grave per quella finanziaria. Ovviamente il fallimento della Silicon Valley Bank SVB) o di altre Istituzioni bancarie tra le quali la più famosa è il Credit Suisse sono degli incidenti nel percorso disinflazionistico e quindi un qualche compromesso non è sbagliato.

Perdere però la ‘guidance’ sui tassi sarebbe un disastro. I tassi, ha detto la Presidente della Banca Centrale Europea (BCE) Christine Lagarde, saliranno ‘quanto necessario’ per ricondurre l’inflazione all’obiettivo. Il problema nell’Eurozona non è stato l’eccessivo aumento dei tassi, ove mai un eccesso di gradualismo nella politica monetaria. I tassi d’interesse reali sono rimasti negativi per troppo tempo. E sono attualmente troppo bassi. Solo se le BC agiscono con decisione, e con l’appoggio delle Autorità Fiscali, l’inflazione si riduce senza una eccessiva caduta del Pil. Risulta difficile però pensare che ci sia qualcuno nel Consiglio direttivo della BCE che pensi che il rialzo dei tassi debba essere fermato perché qualche manager si è preso qualche rischio di troppo senza coprirsi coi derivati. Nel libretto delle istruzioni sul funzionamento delle BC c’è scritto che se lo scenario macroeconomico richiede un aumento dei tassi d’interesse questa operazione deve essere effettuata senza tentennamenti. La politica monetaria e la supervisione bancaria sono separate e questo non è un caso. Riguardo la BCE: il direttivo ha sempre affermato dall’inizio dell’anno che si sarebbe fatto guidare dai dati nella manovra dei tassi, ribadendo che a marzo li avrebbe aumentati di 50 punti base. Poi ha lasciato che i membri del suo direttivo dicessero tutto e il contrario di tutto in una babele monetaria senza precedenti. Immaginate se ieri avesse comunicato: ‘sapete che c’è arresto il rialzo dei tassi perché potrei provocare instabilità nel sistema finanziario’. E immaginate la Signora Lagarde a dover spiegare ai mercati durante la conferenza stampa questa decisione senza gli appunti di Philip Lane. Speriamo davvero che dopo la nomina di avvocati a Banchieri Centrali della Fed e della BCE si torni a far fare questo mestiere a chi sa di economia e teoria monetaria. Per la cronaca la BCE ieri ha aumentato i tassi d’interesse di 50 punti base come aveva annunciato.

Marco Boleo




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