Con il secondo turno di domenica scorsa nei 65 comuni nei quali il sindaco è stato scelto al ballottaggio si è conclusa una tornata amministrativa, ampio “sondaggio” in vista del voto politico del prossimo anno, che ci consegna più dubbi che certezze rispetto ai nuovi equilibri tra partiti e coalizioni. Confermata, invece, la sempre più alta disaffezione dei cittadini verso la politica generalmente intesa. Il dato più eloquente e insindacabile, infatti, è quello relativo all’astensionismo. Già registrato nel primo turno abbinato ai cinque referendum in materia di Giustizia che hanno fallito clamorosamente il quorum, come ha evidenziato il professor Alessandro Campi intervistato dall’HuffPost, esso “conferma un trend strutturale decrescente che non riguarda solo l’Italia, bensì le grandi democrazie, come si è visto in Francia”. Come aveva già rilevato il Cise-Centro Italiano Studi Elettorali, guardando alle percentuali di afflusso ai seggi della prima tornata delle comunali, “in generale, con un livello di partecipazione in netto calo rispetto alle precedenti amministrative e con un trend che sembra attraversare indistintamente l’Italia da Nord a Sud ormai da anni, l’astensione si conferma ancora una volta (come già in passato) un vincitore assoluto”.
Un esito indubbiamente confermato al ballottaggio. E c’è ben poco da esultarne e molto su cui riflettere. Una riflessione che non ci sembra sia stata avviata, né dalla classe politica né da altri attori socio-culturali. Unico segno in controtendenza, che non può essere certo ascritto meccanicamente alla risorgenza di un non meglio definito centro, è il protagonismo reale espresso ovunque dalle forze civiche (in un ruolo non ancillare, quando non addirittura alternativo, alle due principali coalizioni sempre più in affanno). Un segno del desiderio/tentatività di partecipazione originale, sorgiva. Una risorsa – questa - che meriterebbe di non essere dispersa, soprattutto nella sua natura potenziale ricostituente della rappresentanza e riabilitatore della politica. Una soggettività poliedrica e non schematizzabile che trova spesso ispirazione - e personale – in quei “corpi intermedi” che rimangono una grande scuola d’impegno civile. Convitato di pietra, anche in queste consultazioni, è stato il Fattore D. D come Draghi, il premier che con il suo “riformismo dall’alto” agito dal suo “governo senza aggettivi”, con poca o nulla connessione con l’afono indebolito sistema dei partiti, sta determinando una "burrasca di distruzione creativa" della e nell’offerta politica. Un processo sotterraneo - e contradditorio - di cui è difficile, allo stato, determinare il punto di caduta. Con i tutt’altro che incoraggianti scenari che si prospettano, dal punto di vista sociale ed economico, è ragionevole attendersi che la fluidità non potrà che aumentare. Potrebbe essere il tempo di osare nuove proposte, ma quali?
Marco Margrita