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25/01/2022
Occorre investire nell’istruzione per la ripresa del Paese
Le buone intenzioni del ministro Bianchi restano una chimerica promessa

Già nel mese di novembre il ministro dell’istruzione Bianchi esponeva a chiare lettere i risultati ottenuti nel G20 dell’Istruzione tenutosi a Catania. Dava la buona notizia che sul tavolo della discussione era stato posto, come prima istanza, la necessità di investire economicamente nell’istruzione in modo massiccio per dare una spinta maggiore alla ripresa del Paese Poi aggiunge: “Di fronte alla nuova rivoluzione che stiamo vivendo, non solo quella digitale ma anche ambientale, vi è una fortissima necessità di reskilling, soprattutto in Europa”. Sono anni, ormai, che si parla di reskilling, massacrante inglesismo che ha il semplice significato di “riqualificazione”; nessuno, però, ha mai detto in cosa consista tale riqualificazione, né lo ha chiarito il Ministro, il quale si è limitato a parlare in politichese sostenendo che: “ con il ministero francese abbiamo deciso di condividere dei gruppi di lavoro che rilancino non solo l’attenzione per le discipline Stem ma anche per lo straordinario patrimonio umanistico che l’Europa può porre. È necessario aumentare la nostra interazione tra grandi Paesi, è necessario che Italia e Francia si presentino al tavolo dell’Europa per essere i motori di una nuova Europa che deve partire da più persone, più investimenti, più prosperità per tutti e quindi più educazione per tutti, non possiamo lasciare indietro assolutamente nessuno”. Ottimo, direi, ma fino ad ora le parole sono rimaste semplici proclami; ciò che manca è la reale volontà politica nell’affrontare e risolvere i problemi, resa evidente in modo eclatante dal fatto che ancora il nuovo contratto collettivo della scuola non sia stato firmato, mentre quello precedente si soffermava solo sulla parte normativa e rinviava, “sine die”, la parte dell’adeguamento economico del personale scolastico e quello del reclutamento, oltre che i sostegni alle scuole per gli adeguamenti strutturali.

Maddalena Gissi, segretaria generale nazionale della Cisl Scuola, già nei primi giorni di gennaio poneva, ad alta voce, tali punti sul tavolo delle trattative Governo-Sindacati da inserire nel nuovo contratto-scuola: “Più e più volte i Governi che si sono avvicendati hanno provato a lasciare il segno con progetti per le quali sono state messe in campo le più diverse narrazioni (promozione del merito e della qualità, abolizione del precariato e fine della ‘supplentite’, ecc.), senza tuttavia apprezzabili esiti nella soluzione di problemi con i quali ancora oggi ci si confronta e che si presentano in forme ancor più esasperate”. E’ evidente, dunque, che la questione è posta con approssimazione e improvvisazione, senza tenere in conto le richieste e i suggerimenti che giungono dalla base dei lavoratori della scuola, né si dà ascolto agli impressionanti allarmi inviati dal mondo universitario, il quale avverte che i nostri giovani, deviati verso i vari progetti e progettini dei PON, non sanno parlare correttamente in lingua italiana, non riescono ad esprimere un concetto logico e una frase completa, grammaticalmente comprensibile. In tanti si affannano ad esprimere il proprio parere puntando il dito contro le “classi pollaio”, nelle quali gli alunni sono difficili da gestire e da seguire nei loro bisogni didattici individuali; ma se la soluzione rimanesse quella prospettata dal Ministro e dallo stesso presidente Draghi, secondo i quali il problema si risolverà tra un decennio, considerando il calo delle nascite, allora per davvero “non ci resta che piangere”.

Alberto Fico




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