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24/01/2022
Il dibattito sulle regole fiscali europee
Il Patto di Stabilità e Crescita dalla sua entrata in vigore è stato violato diverse centinaia di volte da numerosi paesi dell’Eurozona senza che sia mai stata applicata nessuna sanzione.

Da due anni le regole fiscali dell’Unione monetaria sono sospese, e lo saranno per un altro anno. Questa situazione, specialmente in un paese come l’Italia, che siffatte regole le ha sempre contrastate o mal digerite, ha dato l’impressione almeno sul versante della politica che esse fossero state messe in soffitta per sempre. Qualcosa con cui non bisognava avere più a che fare. Al contrario in Europa sin dal momento della loro sospensione è, invece, in pieno svolgimento un dibattito, culminato lo scorso dicembre con la pubblicazione sul Financial Times di una lettera a firma Macron e Draghi, su quali debbano essere, a partire dal prossimo anno, le nuove regole fiscali dell’Unione monetaria europea. Dicevamo fino al lancio della proposta Draghi-Macron in Italia, corredata da uno studio redatto da Francesco Giavazzi & co (nel quale è contenuta anche una ricetta per gestire l’enorme debito pubblico acquistato dalla BCE), ne aveva scritto solo qualche commentatore economico e uno sparuto numero di parlamentari aveva cominciato a porsi il problema. Ma complessivamente il tema resta ad oggi del tutto fuori dalla percezione dell’opinione pubblica e dell’informazione, concentrate in ultimo sull’elezione del nuovo Presidente della Repubblica e sul destino dell’attuale esecutivo. Malgrado ciò, le regole fiscali europee hanno condizionato in maniera decisiva la politica economica italiana nel quarto di secolo precedente l’inizio della pandemia da Covid-19; e lo faranno, probabilmente in maniera ancor più decisiva, nel quarto di secolo che seguirà la fine della pandemia. Quali sono i punti su cui le forze politiche in Italia dovrebbero cominciare un dibattito che abbia una ragionevole probabilità di trovare un accordo (su base nazionale, al fine poi di portare la discussione sui tavoli Ue)?

Le regole fiscali europee in vigore prima della pandemia erano state studiate a cavallo tra gli anni ‘80 e ‘90 del secolo scorso, quando si dava poco credito all’efficacia della politica fiscale di influenzare il livello della crescita economica e dell’occupazione, e si riteneva che a tutto potesse pensare la politica monetaria. Il loro unico obiettivo era solo quello di imbrigliare la crescita dei deficit di bilancio e del debito pubblico dei singoli Stati. Cerchiamo ora di capire perché servirebbero nuove regole fiscali europee: 1) servono semplicemente perché è tramontato l’Italexit, ovvero l’uscita dell’Italia dall’euro e quindi bisogna considerare i problemi legati all’andamento del deficit e del debito pubblico; 2) servono regole fiscali, e non i proclami del tipo “ognuno faccia il deficit che vuole, tanto poi ci pensa la Bce a comprare il debito in eccesso” per dare stabilità all’Eurozona; 3) le nuove regole fiscali devono basarsi su variabili che siano osservabili e correttamente misurabili. Questo significa che il Pil potenziale - che dal 2013 ha condizionato le vecchie regole fiscali Ue - va lasciato al dibattito tra economisti. Non perché sia un concetto sbagliato o inutile: ma semplicemente perché del tutto inadatto, causa i suoi enormi problemi di misurabilità accurata, a determinare regole che devono al contrario essere semplici, chiare e trasparenti; 4) le regole fiscali dell’UE servono a correggere le esternalità negative che si possono determinare tra paesi che condividono la stessa politica monetaria ma non quella fiscale. Tali esternalità derivano da accumulazioni eccessive di deficit e conseguentemente di debito pubblico nazionale in rapporto al Pil che mettono a rischio la stabilità finanziaria e generano pressioni a favore della monetizzazione del debito da parte della BCE oppure a favore di trasferimenti tra gli stati per salvarne uno o alcuni dalla bancarotta. Quelle in vigore fino alla sospensione, inoltre, mostravano evidenti difetti tecnici che le rendevano pro-cicliche, ovvero inutili a contrastare l’andamento negativo del ciclo economico. Se così fosse, conseguentemente, le nuove regole fiscali dovrebbero avere un unica variabile-obiettivo: il rapporto debito-Pil di ogni stato; 5) tale obiettivo dovrebbe altresì essere fissato su base pluriennale (obiettivi annuali sono troppo soggetti a fluttuazioni o shock temporanei), tenendo conto per quanto possibile del ciclo economico (pur senza dover ricorrere al concetto di Pil potenziale) e sulla base di obiettivi numerici definiti paese-per-paese e non identici per tutti i paesi come erano i parametri di Maastricht (3% di deficit e 60% di debito pubblico entrambi rapportati al Pil).

Poi per ciascun paese membro dovrebbe essere compiuta di tanto in tanto un’analisi di sostenibilità, volta a chiarire se il debito sia sostenibile con elevata probabilità, tenendo conto delle specificità di ciascun paese con riferimento alla crescita del Pil, alle dinamiche demografiche, all’andamento dei tassi di interesse (e quindi della spesa per interessi del debito pubblico), ma anche alle politiche di bilancio correnti ed a quelle future; 6) il rispetto dell’obiettivo dovrebbe essere vincolante. Il Patto di Stabilità e Crescita dalla sua entrata in vigore è stato violato diverse centinaia di volte da numerosi paesi dell’Eurozona senza che sia mai stata applicata nessuna sanzione. Una regola che non preveda sanzioni, semplicemente, non è una regola e non ha alcuna utilità. Prima di chiudere qualche considerazione sulla proposta di Giavazzi & co. Questi ultimi propongono di trasferire il debito accumulato per contrastare la pandemia ad un’agenzia europea appositamente creata. Mentre le conseguenze pratiche potrebbero essere diverse a seconda del modo di attuazione (per esempio finanziamento con emissione di titoli sul mercato o swap di titoli fra BCE e Agenzia, o fra Agenzia e singoli stati), il punto rilevante è il riconoscimento che il debito deve essere gestito, e non necessariamente rimborsato dagli Stati che lo hanno emesso, in modo da liberare almeno in parte la politica fiscale nazionale e la politica monetaria della BCE da questo gravoso compito e che soluzioni “tecniche” sono possibili. Ma se non vi sono vincoli economici, e nemmeno legali, a questa soluzione, persistono vincoli politici, assai più critici che personalità come Mario Draghi, Emmanuel Macron ed il neo eletto Cancelliere tedesco Olaf Scholz dovrebbero col loro carisma e la loro autorevolezza contribuire ad allentare.

Marco Boleo




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