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18/01/2022
Luigi Sturzo e il popolarismo
Alcuni nuclei tematici di un importante simposio (del 1989) nel ricordare oggi a 103 anni di distanza la nascita del Ppi.

Al simposio che si svolse a Caltagirone organizzato dal locale Istituto di sociologia, ricorrendo il nono anno e con la direzione scientifica, del bolognese prof. Gianfranco Morra, docenti universitari, italiani e stranieri, e uomini politici, incontrarono un centinaio di giovani borsisti provenienti da tutte le parti d'Italia e anche da alcuni paesi della Comunità europea per proporre e discutere il pensiero e l'opera di Sturzo nella sua città natale. Per di più c'era da affrontare una duplice ricorrenza per la storia del cattolicesimo democratico italiano: i settanta anni dalla fondazione del Ppi (1919) e i trenta anni dalla morte di Sturzo (1959 ). Su tali ricorrenze c’era già stata una riflessione attenta nel Congresso internazionale di studi svoltosi a Bologna nel marzo (1989), quando con la guida del maestro degli studi sul popolarismo, Gabriele De Rosa, si inquadrò il contributo sturziano allo sviluppo delle democrazie europee, che oggi riprendo i principali contenuti emersi. Anche a Bologna, gli studiosi intervenuti tentarono di superare, e in buona parte ci riuscirono, l’illusione fondamentale che è generata dalle sempre più frequenti occasioni celebrative: cioè, quella di credere che una volta recuperata la nobiltà di una tradizione, questa possa continuare a vivere o, almeno, a svolgere una funzione orientativa o pedagogica in virtù del suo valore storico. Al contrario, sono emersi da parte degli studiosi più avvertiti (storici, filosofi, politologi e sociologi) sia una chiarificazione ulteriore sulla distanza che deve correre tra la ricerca e la prassi politica, sia e soprattutto la consapevolezza di dover distinguere le fasi storiche del popolarismo e quelle più ampie dell'impegno politico di Sturzo dai nostri attuali modelli e contesti sociali e politici: ciò ha consentito almeno di avviare, fuori da tre facili storicismi, l’indagine sul significato di una complessa e ricca eredità politica che, al di là di improponibili confronti epocali, contiene metodi e indirizzi politici fruibili in modo critico anche nella nostra stagione segnata da un’altra frammentazione di ideali e di prassi, dove ciò che pare permanere è (paradossalmente) solo una consolidata discontinuità da tutto il passato e da tutte le tradizioni.

Sturzo aveva definito il popolarismo una «dottrina politica dalla quale il partito trae la sua ragione d’essere». Sul senso di tale affermazione si è ragionato a lungo, ricavando le reali diversità che distinguono l’esperienza politica del Ppi da quella dei cattolici nel secondo dopoguerra e nei nostri anni insistendo sul fatto che Sturzo elaborò una filosofia e una sociologia storiciste; in sostanza, il sacerdote calatino creò un articolato metodo critico di approccio alla realtà politica utile per l’individuo, e soprattutto per il credente che voglia costruire un rapporto serio e aperto con la propria coscienza e con la comunità civile. Il popolarismo fu, quindi, prima di tutto un modo di leggere la società per approntare gli strumenti operativi della modernizzazione; all’epoca della sua fioritura esso divenne, attraverso il Ppi, un mezzo per oltrepassare la dimensione statica e apolitica della tradizione cristiano-sociale e per proporre una complessiva riforma dello Stato liberale: su questo ricordiamo solo l’affermazione sturziana che «il dinamismo della lotta è dato dallo stesso divenire sociale». Cosi, l’idea di privilegiare un programma politico non classista mirava a provocare convergenze di forze per delineare nel prefascismo zone di impegno comune sui problemi irrisolti del paese: sulla questione meridionale e sul rinnovamento complessivo della gestione della cosa pubblica. Il programma dei Popolari naufragò assieme al sistema di democrazia liberale con l’avvento del fascismo, ma l’idea di un indirizzo pluralista che favorisca la partecipazione e il coinvolgimento di partiti diversi su obiettivi di modernizzazione resta attuale, assieme alla opportunità di ridefinire secondo le necessità moduli istituzionali per regolare i ruoli dei «governanti» e dei «governati».

Ciò è necessario quando, come accade oggi, parti, forze sociali, economiche e culturali sono strettamente collegate, se non mischiate, di fronte ai problemi, alle sfide e ai pericoli che tendono a sopraffare le distinzioni di responsabilità. Inoltre, la via del pluralismo democratico sta aprendo squarci istituzionali inediti anche nei paesi dell’Est, finora arroccati in monocratiche organizzazioni statali. Nella direzione della riforma della politica il popolarismo sturziano contiene indicazioni importanti. Morra ha sottolineato il nesso complesso, ma reale, posto tra politica e morale da Sturzo, il quale scrisse: «Negare alla politica l'impasto etico, riducendola a pura forma utilitaria, è togliervi la sostanza razionale e farne semplice arte di governo». Prospettava di differenziare per struttura e per funzioni le due Camere, creando un Senato eletto quasi dalle assemblee regionali su liste professionali. Soprattutto mise in discussione la proporzionale «pura» che produce una progressiva distanza tra gli eletti e gli elettori, che favorisce la nascita di partiti «localistici», che, infine, offre una legittimazione indiretta e non legale alla dilatazione dell’influenza dei partiti sulla società. In sostanza Sturzo colse il delicato rapporto che sussiste tra i sistemi elettorali e quello dei partiti e pervenne all’idea di «indebolire» la proporzionale, fissando soglie di esclusione per i partiti, restringendo i collegi elettorali, restituendo all’elettorato la sovranità dell’ indirizzo. Il tutto per dare alle libertà democratiche il valore di principi che agiscono concretamente per organizzare la società nello Stato di diritto. Una democrazia popolare ha bisogno di partiti che siano luogo di costruzione del pensiero politico e quindi strumenti privilegiati di partecipazione per la determinazione della politica nazionale (art. 49 Cost.). Una concreta partecipazione esige la possibilità di elezioni su scelte libere e non obbligate da comitati elettorali che rispondono ad interessi estranei agli elettori.

Il Presidente della Repubblica deve svolgere il servizio fondamentale di garantire la fedeltà alla Costituzione, qualunque sia la parte politica che governa, e la sua elezione dovrebbe quindi rispondere alla adeguatezza personale a svolgere tale funzione, piuttosto che ad equilibri e convenienze politiche. Nel popolarismo di Papa Francesco dovrebbero ritrovarsi i cattolici in politica, i “cattolici democratici” in particolare, che dovrebbero farne la propria linea ispiratrice superando l’idea di doversi dare una specifica identità che li distingua da qualsiasi altra componente politica, una identità che non si riduca ai soli temi di ordine morale, con la sensazione di non essere sufficientemente presenti e quasi sempre inefficaci e perdenti. In conclusione il popolarismo è la casa di tutti e ha bisogno di politici che ne facciano l’obiettivo del loro impegno. I cattolici dovrebbero arricchirne le motivazioni con la fedeltà all’annuncio evangelico della carità e della fraternità, oltre a dare vita ad una presenza nella società che contribuisca a costruirvi un popolo.

Gilberto Minghetti




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