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10/11/2021
L'Appennino solidale
Sarebbe necessario mettere in campo politiche economiche di sostegno al 'fare impresa’ in montagna per riequilibrare il gap strutturale esistente con le imprese localizzate in aree logisticamente più favorevoli

Ci sono aziende che passano sopra la vita delle famiglie. Non è possibile che con un tratto di penna si cancelli un insediamento come quello di Gaggio Montano. Non è più tollerabile. Anche il capo di gabinetto in città metropolitana con delega al Lavoro condanna la chiusura della Saga Coffee e in settimana accompagnerà il nuovo sindaco Matteo Lepore davanti ai cancelli dell'azienda per incontrare i lavoratori in presidio. Ora si dovranno prendere contromisure serie, visti i 220 posti di lavoro a rischio. Quanto successo è di estrema gravità. Non abbiamo informazioni precise, non esistendo un problema reale di prosecuzione dell'attività. Questo è sempre stato un territorio dove c'è una buona amministrazione che offre servizi, cura le relazioni e così drammaticamente un'impresa non può arrivare qui e stracciare gli accordi che sono stati sottoscritti in precedenza, decidendo di delocalizzare in Romania. Per evitare il peggio ci auguriamo che vadano considerati tutti gli strumenti necessari, a partire da un tavolo, convocato dalla Regione nei prossimi giorni, con l'assessore Vincenzo Colla, per poi attivare quello metropolitano di salvaguardia. La mission giusta sarebbe che l'azienda torni indietro rispetto alla decisione di chiudere lo stabilimento a marzo 2022.

Di sicuro si farà tutto per aiutare i lavoratori che stanno per essere licenziati, garantendo loro una facilitazione per gli ammortizzatori sociali, previo contatto con la multinazionale bergamasca Evoca per far sì che non lasci Gaggio Montano. L'impresa sarebbe sana: non si possono lasciare a casa 220 lavoratori, dei quali l'80 per cento è rappresentato da donne. Sembra addirittura che la maledizione della Saeco torni a piombare sul piccolo Comune Bolognese. A Gaggio, infatti, sono vent’anni che la vicenda è stata trattata a vari livelli e fino a pochi giorni fa non era contemplata l'ipotesi di una chiusura: è stato, come si dice, un fulmine a ciel sereno. Che cosa si può fare per evitare che le aziende delocalizzino visto che nel nostro territorio c'è già stato il caso Logista (con licenziamenti a iosa)? Serve una normativa a livello nazionale che aiuti a porre limiti sulle delocalizzazioni, ma si dovrebbe pure intervenire sulla sicurezza del lavoro e gli appalti. Intanto, come città metropolitana e regione Emilia-Romagna si lavora attorno a una carta della logistica etica, ad attrarre talenti nel nostro territorio, puntando sul lavoro di qualità, con l’impegno di accogliere le imprese, ma è necessario che si assumano delle responsabilità. La Saga non lo sta facendo visto che continua ad assumere in Val Brembana e punta al trasferimento in un sito che esiste già in Romania. Mentre si può comprendere la necessità di risanare, non si possono accettare scorciatoie.

Anche il cardinale Matteo Zuppi bolla la decisione dei vertici della Saga Coffee di chiudere lo stabilimento di Gaggio Montano entro marzo 2022, giudicandola una decisione sbagliata. La difesa del posto lavoro sostiene Zuppi «deve essere prioritaria su tutte le altre questioni a maggior ragione quando siamo davanti a scelte sbagliate e miopi. Spostare la produzione per esclusive ragioni di profitto è una logica spesso delle multinazionali, ma spesso ha solo vantaggi nell'immediato mentre nel lungo periodo non porta a nulla perché al centro non mette l'occupazione e, quindi, la persona. Sono, anche, molto legato affettivamente a quei lavoratori che vennero al mio ingresso a Bocca di Rio, in un altro momento molto difficile per il loro posto di lavoro. Le loro ragioni vanno sostenute, così come la loro lotta». Al rammarico espresso un po' da tutti da notare anche il sindaco di Gaggio Montano Giuseppe Pucci, per il quale questa notizia è stata un fulmine a ciel sereno. Una chiusura inattesa per uno stabilimento che negli anni ha tenuto alto il livello del made in Italy a livello internazionale, grazie alla capacità dei suoi lavoratori di adeguarsi rapidamente alle innovazioni tecnologiche, accettando anche accordi sindacali che ora sono totalmente disattesi. Le intenzioni sono state un vero pugno nello stomaco e la solidarietà va alle 200 persone che vi lavorano.

Concludendo, oltre al triste panorama annunciato, per la verità da diverso tempo si sono lanciati allarmi sulla tenuta del tessuto produttivo nei comuni montani, vista la mancanza di infrastrutture che spesso si traduce in un costo, a causa dei lunghi tempi di percorrenza delle materie prime e dei prodotti finiti, il motivo dominante dovrebbe essere quello che le aziende non lascino l'Appennino. Sarebbe necessario mettere in campo politiche economiche di sostegno al 'fare impresa’ in montagna per riequilibrare il gap strutturale esistente con le imprese localizzate in aree logisticamente più favorevoli. Solo con gravi fiscali permanenti e infrastrutture adeguate aumenterebbero notevolmente la competitività delle imprese dell'Appennino, e di fatto ne determinerebbero non solo la sopravvivenza, ma la loro rilevanza come riferimento occupazionale per le generazioni presenti e future. È su questi aspetti che servirà un intervento deciso da parte delle istituzioni, ad ogni livello di competenza. Come MCL, da credenti siamo chiamati a mettere in evidenza l’azione dello Spirito Santo nella società che si manifesta attraverso l’inventiva, la volontà e il coraggio di tante persone. Non possiamo lasciarci abbattere dalle difficoltà, non possiamo gettare la spugna. Il grido intenso dei poveri ci chiede di ascoltarli, accoglierli, accompagnarli, mettendo loro al primo posto e non noi, le nostre strutture, programmi e necessità.

Gilberto Minghetti




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