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16/07/2021
Il debito pubblico va visto in una luce diversa
ridurre il debito pubblico รจ la politica sbagliata, serve a livello globale stabilizzarlo attraverso un mix di politiche monetarie e fiscali coordinate almeno tra i Paesi del G-20.

Le crisi economiche, innescate dal mercato immobiliare come quella del 2007 o da una pandemia da Covid-19 come quella in corso, colpiscono i Paesi in misura diversa. Quelli economicamente deboli con elevati livelli di disoccupazione e di debito pubblico e basse prospettive di crescita di solito soffrono le crisi, il che peggiora ulteriormente il loro merito di credito sul mercato finanziario (innalzamento dello spread). Di conseguenza, i prezzi dei loro titoli sovrani diminuiscono, i tassi di interesse effettivi aumentano ed il ‘prestito’ di cui hanno bisogno per sopravvivere ad una crisi diviene più oneroso. Possono insomma continuare ad emettere i loro titoli solo a condizioni via via peggiori: a tassi di interesse più elevati e l'aumento dei pagamenti degli interessi farà aumentare ulteriormente il loro debito futuro o il carico fiscale sui contribuenti, in una spirale discendente verso il default. Le Banche Centrali col Quantitative Easing interrompono questo minaccioso movimento al ribasso acquistando i titoli sovrani dei Paesi in difficoltà.

Nella crisi pandemica, ad esempio, la BCE rimane impegnata ad alleviare l'onere finanziario dell'economia dell'UE. Nell'ambito dell'attuale programma di acquisto di attività (PPA) ha avviato un programma di acquisto di emergenza pandemica (PEPP) impegnando 1.850 miliardi di euro. Nonostante il PPA, però la BCE ritiene che il sistema bancario dell'UE sia minacciato da crediti inesigibili, come indica la proposta della stessa di istituire una "bad bank" in cui parcheggiarli. Nel caso il rischio di rimborso di un titolo si verifica in futuro, la perdita è a carico della BCE. I creditori riceveranno quindi i loro soldi per intero dalla BCE. La BCE fornisce quindi protezione ai creditori e sostiene i più ricchi che possiedono principalmente i titoli. Non c'è, quindi, nessun debitore diverso dalla BCE che dovrebbe pagare per il prestito emesso in precedenza. In questo senso, nessuna generazione futura sarà direttamente gravata se, come accade nelle crisi, la BCE si fa carico dei titoli con basso rating e delle perdite che ne derivano, cioè se la BCE si assume il rischio di riscatto. Quindi le banche centrali possono subire perdite, spesso mostrano profitti (da signoraggio).

Nella discussione in Europa, il debito pubblico è visto solo in una luce negativa prevalendo il punto di vista tedesco. Non è facile stabilire a priori se il debito è cosa ‘buona’ o ‘non buona’ tante sono le variabili in gioco. Il considerare solo la destinazione della spesa finanziata con debito a volte può essere fuorviante. Contano, infatti, il tasso d’interesse reale, il disavanzo di parte corrente della bilancia dei pagamenti oltre al sempre nominato tasso di crescita dell’economia. Nel senso che se il livello del tasso d'interesse reale, e quindi quello del tasso d'interesse nominale, quando i prezzi sono stabili, è basso, allora non può diminuire ulteriormente con la riduzione del debito pubblico, poiché i tassi d'interesse nominali non possono diventare negativi. In questa situazione la riduzione del debito pubblico non ha alcun effetto di stimolare gli investimenti. Al contrario, poiché la domanda aggregata diminuisce parallelamente a questa riduzione, gli investimenti tenderanno a diminuire.

In un precedente articolo scrivevo che serve un coordinamento della politica economica tra i Paesi del G-20. In questo caso va adottato un approccio comune sulla giusta quantità di debito pubblico su scala globale. Il dovere di un Paese di consolidare le proprie finanze e di ridurre il proprio debito pubblico è tanto più fondamentale quanto più elevato è il disavanzo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. Viceversa, però, anche i Paesi con avanzi delle partite correnti possono pure avere il dovere (l’obbligo) di aumentare i disavanzi di bilancio. Considerando che una riduzione generalizzata dei disavanzi pubblici (per ridurre la crescita del debito), infatti, può portare semplicemente ad una crisi globale, poiché, proprio a causa dei bassi tassi di interesse, gli investimenti privati non sostituiranno la domanda pubblica che va perduta.

Nel caso della sola Europa un rigido freno al debito, come quello che vorrebbe imporre la Germania nel Pandexit, non può essere la soluzione giusta. Va tenuto conto, infatti, che il consolidamento delle finanze pubbliche negli altri Paesi europei, può anche portare a una depressione economica nell’Unione Europea. Come ci insegna la storia, una depressione potrebbe distruggere il libero commercio internazionale e rafforzare le tendenze alla disintegrazione nell’UE, a scapito dell'industria tedesca delle esportazioni. Sarebbe un errore fatale se una errata comprensione degli effetti del debito pubblico distruggesse l'economia globale integrata e quindi, in ultima analisi, colpisse l'economia del libero scambio nel suo centro nevralgico. Ma come si potrebbe mantenere la fiducia dei mercati dei capitali, evitando una corsa tra Paesi alla riduzione del debito pubblico che sfoci in una depressione? Va cambiata la tipologia di titoli emessa. Quello che temono i tedeschi è che l'elevato debito pubblico possa indurre i Paesi ad abbandonare la stabilità dei prezzi. I titoli indicizzati all'inflazione potrebbero essere una possibile risposta, visto che col passare del tempo stanno diventando gradualmente più comuni. Ma si potrebbe anche fare un passo in più: andrebbero emessi titoli di Stato la cui cedola è indicizzata al tasso di crescita del Pil di un Paese. In questo caso, i pagamenti degli interessi dello Stato si muoverebbero sempre parallelamente alle sue entrate fiscali, che aumentano e diminuiscono col Pil. I titoli di Stato di questo tipo possono anche essere una forma di investimento interessante per i cittadini del Paese. Gli investitori sono, per così dire, nella stessa barca dei loro concittadini, con i quali tendono a confrontarsi. A un determinato rapporto debito pubblico/Pil, il Paese in questione può migliorare il proprio rating creditizio emettendo siffatti titoli invece di quelli convenzionali. Ciò amplia le possibilità di innalzamento del livello del debito pubblico, consentendo così di soddisfare meglio il desiderio della popolazione di accumulare risparmi per la pensione.

Nell'area economica che comprende i Paesi dell’OCSE più la Cina, quasi la metà della ricchezza privata è costituita da debito pubblico netto, con la ricchezza privata che è quasi il doppio dei beni reali privati. A causa del continuo aumento della speranza di vita, la quota del debito pubblico sulla ricchezza privata è in crescita. Finché il debito pubblico non diventa troppo grande, i tassi di interesse reali possono essere bassi, ma positivi nel ventunesimo secolo. La ragione principale di ciò è la pianificazione pensionistica privata alla luce dell'elevata aspettativa di vita. Gli investimenti non possono tenere il passo con l'aumento del risparmio privato. Nel ventunesimo secolo, invece, il debito pubblico è uno strumento di indirizzo macroeconomico. La politica fiscale lo utilizza per garantire che continui a prevalere un livello di tasso di interesse reale positivo, ma basso.

Insomma il debito pubblico non è solo un onere ma è allo stesso tempo ricchezza privata. Pertanto entrambi i lati del fenomeno devono essere tenuti in considerazione quando si considera il disavanzo ottimale. Quando ci sono bassi tassi di interesse reali e alti avanzi commerciali, ridurre il debito pubblico è la politica sbagliata. Quello che serve a livello globale è di stabilizzarlo attraverso un mix di politiche monetarie e fiscali coordinate almeno tra i Paesi del G-20.

Marco Boleo
 




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