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06/07/2021
Il pilastro della ripresa è il debito buono
avvicinandosi il 50° del MCL saremo interpellati a insistere sul debito buono che potrà essere raggiunto solo creando posti di lavoro decenti per tutte le persone

Per l'Italia questo è un momento favorevole, in cui torna a prevalere il gusto del futuro. Viviamolo appieno, con determinazione e con solidarietà, afferma Mario Draghi, con lo spirito di un discorso di medio termine sullo stato della Nazione.

Dalla pandemia al Pil, dal lavoro agli investimenti, dal rischio varianti al Recovery Pian, il premier tira somme e disegna prospettive con quel linguaggio che fornisce di numeri e realismo, senza indulgenze per le nostre debolezze strutturali (a cominciare da debito pubblico), ma anche senza timidezze per le previsioni di crescita oltre le attese, verso quel 5 per cento e più di Pil.

Come in un nuovo intervento programmatico nella sede dei Lincei, nella quale Draghi parla e ha una sua dimensione di autorevolezza pubblica che, se non fondata sulla sovranità popolare, trova la sua constituency nelle ragioni della cultura più alta, autorevole e più nobile di questo Paese, prendendo atto che anche in altri Paesi di antica democrazia le Accademie sono interpellate ufficialmente dal governo e dal Parlamento.

E, dunque, la visita dell'ex numero uno della Bce alla nostra più autorevole istituzione culturale ha anche il valore del riconoscimento di un ruolo fino ad ora negletto. Tanto più che intervenendo non esita a chiamare alla memoria gli economisti accademici che sono stati suoi maestri: da Federico Caffè a Sergio Steve, da Franco Modigliani a Robert Solow.

E, in fondo, è proprio dalla lezione keynesiana dalla lezione del realismo economico di mercato non ideologico che Draghi trae le conclusioni e le determinazioni di politica economica sul passato e sul futuro prossimo venturo. A partire dalla consapevolezza che la «pandemia non è finita» e che «anche quando lo sarà, avremo a lungo a che fare con le sue conseguenze: una di queste è il debito». Ed è a questo punto che torna la distinzione-chiave di Draghi tra debito «buono» (per investimenti e lavoro) e debito «cattivo» (per sussidi e assistenza fine a se stessa). Perché avvisa: «il debito può rafforzarci se ci permette di migliorare il benessere del nostro Paese, come è avvenuto durante la pandemia». Ma «ci può rendere più fragili se, come troppo spesso è accaduto in passato, le risorse vengono sprecate».

Intanto è scattata l'ora X che consente alle aziende manifatturiere (fatta eccezione per la filiera del tessile, delle calzature e della moda) e dell'edilizia di poter licenziare. E c'è già chi avrebbe avviato le procedure per la chiusura dello stabilimento mandando a casa le persone. Ma saranno le prossime settimane di luglio a far capire se ci sarà la temuta valanga di licenziamenti o se le imprese si adegueranno all'avviso comune firmato dal premier Mario Draghi, dal ministro del Lavoro e dai vertici di Cgil, Cisl e Uil e associazioni datoriali, a partire da Confindustria.

Secondo quell'impegno condiviso - che non è, però, vincolante giuridicamente - le aziende dovranno ricorrere prima a tutti gli strumenti di protezione sociale e solo dopo potranno arrivare alla risoluzione dei rapporti di lavoro. Il presidente dell'associazione di Viale dell'Astronomia sottolinea il valore dell'intesa, soddisfatto perché si torna a quello che aveva detto a settembre: un grande Patto per l'Italia, chiedendo altresì di poter finalmente «vedere un testo di questa riforma», quella degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro «che il ministro continua ad annunciare».
Si dà il caso, però, che, sebbene non vincolante sul piano legale, una larga fetta della base associativa di Confindustria non abbia preso per niente bene proprio l'impegno sui licenziamenti assunto «politicamente» dal vertice. Non sono mancate proteste e mugugni, al punto che si puntualizza: «nell'assumere tale impegno, Confindustria ha inteso comunque salvaguardare la libertà delle imprese associate di assumere differenti determinazioni sulla base di valutazioni aziendali». Insomma, «a seguito delle richieste di chiarimento pervenute e per evitare erronee interpretazioni del documento si conferma il tenore letterale dell'impegno assunto, che consiste unicamente nel raccomandare alle imprese il ricorso agli ammortizzatori sociali, laddove disponibili» per rinviare i licenziamenti.

Il risultato pratico è che l'avviso comune finisce per non avere né un valore legale o contrattuale (che non poteva avere), ma neanche quello di una moral suasion politica, perché Confindustria fa sapere agli associati che si tratta di una mera raccomandazione, allora chi vorrà licenziare avrà tutta l'assistenza del caso? I leader sindacali, però, torneranno a sollecitare un'estensione generalizzata del blocco e non è detto che non possa esservi qualche ulteriore allargamento, ma sempre all'insegna della selettività. La mediazione politica raggiunta nella maggioranza non permette soluzioni generalizzate. Una crescita economica sostenibile e inclusiva, della quale possano beneficiare tutti e che non pregiudichi l’ambiente.

Concludendo penso che avvicinandosi il 50° del MCL saremo interpellati a insistere sul debito buono e questo potrà essere raggiunto solo creando posti di lavoro decenti per tutte le persone, soprattutto per le donne, i giovani ed altri gruppi svantaggiati, eliminando pratiche come il lavoro forzato e minorile e promuovendo l’innovazione tecnologica.

Gilberto Minghetti




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