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25/06/2021
Il blocco dei licenziamenti: un approfondimento
'Più a lungo è in vigore e più rischia di essere dannoso perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali'

Nelle raccomandazioni di primavera della Commissione Europea è contenuta una critica che coglie nel segno sul blocco dei licenziamenti attuato in Italia: “tende a influenzare la composizione ma non la portata dell’aggiustamento del mercato del lavoro”. In altre parole ne traggono vantaggio per lo più i lavoratori a tempo indeterminato a danno di quelli a tempo determinato come gli interinali e gli stagionali. Alla luce dei dati forniti dagli esperti della Commissione poi il provvedimento non è stato particolarmente efficace, anzi è risultato addirittura ridondante come sottolineato anche su questo blog. Noi avevamo fatto notare che il blocco dei licenziamenti e la Cassa Integrazione Guadagni in deroga sono due strumenti che non vanno utilizzati simultaneamente per le ragioni che approfondiremo dopo. Per ora ci limitiamo a ricordare che il mercato del lavoro è in perenne aggiustamento e che il ‘blocco’ lo congela in attesa che si presenti la ripresa. Mentre gli esperti di Bruxelles hanno considerato l’elasticità media dell’occupazione nell’Unione Europea, ovvero il rapporto tra la variazione percentuale dell’occupazione e la variazione percentuale del Pil: evidenziando che la media europea è stata 0,25, mentre quella italiana “col blocco” 0,24. Un effetto nullo a livello quantitativo. In altre parole la diminuzione dell’occupazione in Italia è stata in linea con la media dell’Eurozona ma è risultata più accentuata rispetto a Francia e Germania dove non c’è alcun divieto di licenziamento. Quest’ultimo inoltre, secondo le raccomandazioni giunte da Bruxelles, “potrebbe addirittura rivelarsi controproducente. Più a lungo è in vigore e più rischia di essere dannoso perché ostacola il necessario adeguamento della forza lavoro alle esigenze aziendali”.

Attualmente in Italia c’è chi vorrebbe prolungare il blocco fino alla fine di ottobre o perfino oltre. La speranza di chi propone il prolungamento è che la ripresa economica ‘da rimbalzo’ potrebbe aiutare le aziende convincendole a non licenziare. Ma il problema è che il rimbalzo potrebbe sgonfiarsi col passare del tempo e non favorire il riassorbimento dei disoccupati in tutti i settori (per ora solo il manifatturiero ed il commercio stanno assorbendo occupazione). Questo dipende sia dalla struttura economica e sociale italiana che dal funzionamento del mercato del lavoro. Vediamo perché quest’ultimo non funziona correttamente. Molti hanno in mente solo la funzione ‘allocativa’ del mercato del lavoro ovvero che dovrebbe contribuire a far trovare lavoro a chi lo cerca. Ma il suddetto mercato sacrifica la funzione ‘allocativa’ a vantaggio di altre per le ragioni che seguono.

Il premio Nobel James Meade, antico collaboratore di John M. Keynes, ha chiarito la questione sostenendo che il mercato del lavoro è diverso nel funzionamento rispetto agli altri (quello dei prodotti, della moneta e delle attività finanziarie) perché è chiamato a svolgere troppi compiti nello stesso momento. La ricordata funzione allocativa, quella assicurativa, quella distributiva ed in ultimo quella informativa (della quale non ci occuperemo). Ma chiariamo meglio. Quando Meade iniziò le sue riflessioni la vulgata pensava che il mercato del lavoro svolgesse essenzialmente una funzione allocativa: determinando un salario che avrebbe consentito l’incontro tra domanda e offerta di lavoro.  Ma secondo l’economista inglese sul salario gravano altri compiti e ne segnala due: quello assicurativo e quello distributivo. La funzione assicurativa è preferita per il fatto che, per molti dei lavoratori, il salario rappresenta l’unico reddito percepito e la fonte del proprio reddito futuro. Con la conseguenza che i lavoratori stando così le cose ricercano la stabilità del salario nel tempo e questo li porta a legarsi con contratti a lungo termine (a tempo indeterminato e/o determinato). La funzione distributiva dipende, invece, dal potere contrattuale che ha il singolo lavoratore e scaturisce da quanto quest’ultimo è sostituibile. Un conto ad esempio è essere un chirurgo di fama o un bracciante agricolo: col primo che riesce ad ottenere una fetta maggiore della torta del reddito prodotto a cui contribuisce rispetto al secondo. A livello macroeconomico, poi, la sostituibilità dei lavoratori aumenta nelle fasi di disoccupazione elevata e prolungata. In questi casi il lavoratore ha un potere distributivo basso ed i contratti in scadenza vengono rinnovati a livelli più bassi di salario. Riassumendo: i lavoratori preferiscono non affidare al mercato del lavoro la determinazione del livello di salario ma si servono di quest’ultimo per compiti di assicurazione e di distribuzione del reddito. Sacrificano insomma la funzione allocativa. Consapevole di questo dato di fatto James Meade ritiene che per consentire al mercato del lavoro ed al salario di svolgere la funzione allocativa, quella assicurativa deve essere affidata alle Istituzioni del Welfare State attraverso gli ‘ammorizzatori sociali’. Mentre quella distributiva deve essere affidata alla distribuzione della ricchezza e della proprietà regolata dagli interventi dello Stato attraverso la politica fiscale ed i trasferimenti.

Abbiamo fatto questo lungo giro come una lepre prima di tornare a bomba del discorso per ribadire che il mercato del lavoro deve poter funzionare al meglio. Nessun blocco dei licenziamenti perché quest’ultimo per garantire l’assicurazione e la distribuzione ingessa il mercato del lavoro e danneggia chi ne è al di fuori. Servirebbero, invece, politiche attive del lavoro e di sostegno (praticato attraverso il welfare come suggerisce Meade) dei lavoratori all’interno del mercato del lavoro, e parimenti politiche che generano opportunità di lavoro. Contrattazione decentrata a livello aziendale e flessibilità riducendo i costi del licenziamento (firing cost). Sussidi di disoccupazione quasi dello stesso ammontare dell’ultima retribuzione percepita dal lavoratore accompagnati da processi di formazione. In questo modo diminuirebbero le resistenze al cambiamento ed il conflitto tra capitale e lavoro. Croce e delizia delle relazioni industriali italiane. In proposito potremmo seguire l’esempio del Regno Unito. I lavoratori d’oltremanica ricevono se disoccupati una sorta di reddito di cittadinanza unito ad una NASPI sui generis. Se trovano un lavoro che gli garantisce un reddito al di sotto di una certa soglia stabilita ricevono una integrazione salariale per raggiungerla. In questo modo vi è un incentivo da parte delle persone a cercare lavoro, generando un sostituto d’imposta, e a migliorare la propria esistenza. Naturalmente queste ricette a volte non funzionano per le caratteristiche anagrafiche delle persone o per le competenze che hanno. Ma sarebbe una ricetta migliore rispetto a quella del congelamento del mercato del lavoro che tutela i lavoratori dipendenti e che aspetta tempi migliori se casomai ci saranno (la ripresa economica).     

Marco Boleo
 




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