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09/05/2021
43° anniversario della morte dello statista Aldo Moro
Moro esercitò al massimo livello la sua lungimiranza e capacità politica, realizzando un vero capolavoro politico per stabilire con il Pci di Enrico Berlinguer un confronto costruttivo ma non compromissorio

Non ebbe alcun esito nemmeno il disperato appello di Paolo VI, scritto la notte del 21 aprile. Il mattino dopo, a poche ore da uno dei tanti ultimatum fissati dalle Br, il Vaticano ne fece recapitare una copia alla Rai, identica a quella che quasi trent'anni dopo Beppe Pisanu, amico e collaboratore di Moro, ha appeso dietro la sua scrivania in Senato per non dimenticare la lotta al terrorismo. Si prova sempre una grande emozione a scorrere quel drammatico manoscritto con la calligrafia di Paolo VI: «Io scrivo a voi, uomini delle Brigate rosse: restituite alla libertà, alla sua famiglia, alla vita civile l'onorevole Aldo Moro. Io non vi conosco e non ho modo di avere alcun contatto con voi...» La lettera concludeva con una frase, a proposito del rilascio «senza condizioni», che sbarrava definitivamente la strada alle concessioni attese dai brigatisti. Tutto ciò è contenuto nella storia fatta anche di queste tristezze, che non riusciamo a cancellare dalle nostre memorie. Andando indietro nel tempo la paura era sempre alla porta e il Paese viveva questo dramma che allo stesso tempo denunciava le tante fragilità. L’ultimo grande intervento pubblico dell’On. Moro risale a un forte richiamo all’orgoglio di partito: “…Conserviamo la nostra fisionomia e conserviamo la nostra unità. Chi pensa di fare bene dissociandosi, dividendo le forze, sappia che ha, in tal modo, il regalo tardivo del sorpasso al partito Comunista, sono certo che nessuno di noi lo farà…”

Nella storia della democrazia repubblicana, la Dc fu il partito che fece l’Italia percorrendo con freschezza la cronaca politica di spessore per oltre cinquant’anni, nei quali la Dc non fu solo il partito guida ma racchiuse in sé e rappresentò buona parte dell’intera società italiana. Nella disamina della storia democristiana: «senza un punto di riferimento che vada oltre l’occasionale, il contingente, è quasi impossibile creare un nuovo soggetto politico», una puntuale confutazione dei partiti personalistici, leaderistìci, carismatici proprietari della Seconda Repubblica. La carrellata dei leader democristiani del dopoguerra è infinita, ma non è certo un caso se per larghi tratti l’attenzione degli autori si concentra sulla figura di Aldo Moro, soprattutto nella stagione della solidarietà nazionale fino al rapimento e alla sua uccisione da parte delle BR. In quell’arco di tempo, tormentato e foriero dì pulsioni innovatrici e di trasformazione ma anche di sanguinosi tributi alla follia terroristica, Moro esercitò al massimo livello la sua lungimiranza e capacità politica, realizzando «un vero capolavoro politico» agendo per stabilire con il Pci di Enrico Berlinguer «un confronto costruttivo, ma non compromissorio». Profeticamente, esortò «a evitare la logica dell’opposizione fino in fondo da chiunque fosse condotta, della passionalità continua in un’Italia dalle strutture democratiche fragili». E anche qui è impossibile non cogliere la critica al bipolarismo rissoso e spesso inconcludente che sembra avvolgere come un sudario la Seconda Repubblica. 

Nel prossimo avvenire vi sarà molto bisogno di questa forma straordinaria di carità. Gli uomini abili cercheranno di tradurla in termini di tattica politica e la chiameranno il compromesso difficile. Noi preferiamo parlare di carità e tenerci fermi ad essa. Il compromesso è come cedere un poco della propria verità: la carità è come realizzare intera la propria verità. Non sappiamo che cosa riservi la solenne decisione degli italiani; sappiamo però che nella Costituente ed oltre i cattolici italiani sapranno fare operare la carità a garanzia della verità e della pace.

A noi spetta rinnovare un clima che riunisca la voglia di fare con l’attenzione sociale che non è mai venuta meno, spingendo una modesta sede periferica a voler cercare di recuperare, attraverso la comunione di intenti, quella solidarietà che è necessaria per recuperare quella fiducia costruttiva culturale e politica su cui continuare a costruire modelli di sviluppo, rivendicando quel principio sturziano di laicità delle famose “forti battaglie” del lontano 1919.
Per Aldo Moro l’Europa era un fenomeno culturale una sorta di pietra angolare con l’obiettivo di costruire una società libera, aperta, non dimentica della tradizione e sempre in un’ottica di piena espansione economica e politica, rifiutando ogni forma di isolamento, che si apprestava a sviluppare la sua integrazione responsabile nella radice popolare ed universale contro ogni sorta di sovranismi.

A 43 anni di distanza dalla morte dell’on. Moro ci viene sempre più spontaneo affermare che reinterpretare il suo pensiero costituisce un passaggio ineludibile soprattutto sul versante del significato dell’ispirazione cristiana, in particolare per un Movimento come il nostro che ama l’Europa e cerca di trovare oggi e in futuro nuovi cuori capaci di sostenerla.

Gilberto Minghetti




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