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01/03/2021
Roma senza progettualità
quasi tutti i partiti che saranno chiamati entro pochi mesi a contendersi la guida della Città non hanno ancora indicato il loro candidato, ma neppure con quali programmi intendano presentarsi agli elettori

La rinuncia della società sportiva Roma alla costruzione del nuovo stadio a Tor di Valle, dopo nove anni di andirivieni progettuali ed urbanistici, mostra l’enorme difficoltà che la Capitale incontra, nell’attuale condizione amministrativa, ad accogliere le opportunità derivanti da private iniziative di investimento.

Non vi è dubbio che si trattava di un progetto assai ardito, in variante di piano regolatore, che conteneva, oltre gli impianti sportivi, una notevole quota di direzionalità, poi ridotta, rappresentata dai tre grattacieli, opera con la quale la Città avrebbe ottenuto importanti interventi infrastrutturali, per gli standard urbanistici e contributi al costo di costruzione, per un valore complessivo di 363 milioni di euro.  Un intervento che avrebbe valorizzato un quadrante urbano strategicamente pregiato dal punto di vista ambientale e porta di ingresso alla Città dall’aeroporto internazionale di Fiumicino. 

Occorre rilevare, a questo proposito, che Roma, per assecondare la frammentazione della proprietà dei terreni e per la particolare struttura delle imprese di costruzione, poche volte ha visto realizzarsi interventi di vasta dimensione e di complessità di funzioni. Lo scarso uso nelle politiche di attuazione del Prg di interventi a dimensioni di comprensorio, di comparto, con lottizzazioni convenzionate, ha spesso prodotto risultati che privilegiavano la residenza rispetto a servizi in grado di qualificare interi quartieri, con una direzionalità diffusa, ma di scarsa qualità, senza la creazione di adeguati effetti urbani. La realizzazione dell’Eur è stato e resta un ineguagliato esempio di segno opposto.

Negli ultimi venti anni le “compensazioni”, l’“urbanistica contrattata” e la debolezza del Prg del 2003, con le centralità diffuse in funzione della rendita fondiaria privata, hanno ulteriormente contribuito ad un risultato urbanistico privo di forti riferimenti trainanti e di riqualificazione. Con il progetto dello stadio, la società calcistica aveva compiuto uno sforzo in senso qualitativo, con l’affidamento del “disegno” a professionisti di fama internazionale, a partire dall’architetto statunitense Dan Meis, incaricato dello storico e avveniristico stadio dell’Everton nella zona nord dei Docks di Liverpool, oltre che dello sport City Stadium a Doha in Quatar per la Coppa del mondo del 2022.

La notizia della rinuncia è giunta alla fine di un mese nel quale due eventi, svoltisi in Campidoglio, avevano richiamato l’attenzione e indicato vie per il superamento di una crisi che attanaglia la Città, non solo dagli anni dell’amministrazione Raggi. 

Il 3 febbraio, con una cerimonia in tono ridotto per il Covid, si sono celebrati i 150 anni di Roma Capitale, con una lectio magistralis dello storico Paolo Mieli che ne ha sottolineato l’universalità per il suo ruolo nella storia, oltre che la necessità di misurarsi sulla sostenibilità rispetto allo sviluppo della urbanizzazione che, secondo le stime dell’Onu, riguarderà i due terzi della popolazione mondiale, ma anche domandandosi come mai “a Roma non succeda nulla di questo”. Paolo Conti sulle pagine del Corsera, nella circostanza, ha scritto: “Viviamo in una metropoli famosa e amata in tutto il mondo ma che, storicamente, non è mai stata altrettanto apprezzata proprio dal Paese di cui è Capitale”. Una constatazione giusta, ripetuta da decenni, alla quale non si è data una risposta realmente esaustiva.

Il problema tuttavia non può essere visto solo a senso unico, cioè semplicemente come mancata attenzione e disponibilità dello Stato verso la sua Capitale, cioè di una “Capitale Cenerentola” che, “invece di onorarla le ha sempre fatto mancare qualcosa”.

Vi sono inadeguatezze, rinunce, scelte sbagliate ascrivibili alla sola responsabilità del governo cittadino che, certo, non aiutano a “conquistare” una considerazione più adeguata, per ottenere quel più di norme e di risorse per esercitare degnamente il ruolo di Capitale.

La inadeguata gestione della Città è sotto gli occhi di tutti. Vittorio Emiliani, nella conclusione del suo “Roma, Capitale malamata”, a settembre 2018, scriveva: “Da un decennio Roma non è realmente studiata, ascoltata e governata, e dal lassismo, dall’aperta illegalità, dallo sgoverno è arduo rientrare tra i paletti. Oggi va avanti come può”. Ed anche in precedenza, la Città aveva perso l’appuntamento storico  con la modernizzazione, quando, durante la pur osannata giunta Rutelli, aveva messo nel cassetto il “Progetto direttore 1995 per l’attuazione dei comprensori direzionali orientali”, predisposto dal Consorzio SDO che comprendeva un comitato scientifico formato dai più autorevoli  urbanisti, esperti di livello internazionale quali Sabino Cassese, Gabriele Scimemi e Kenzo Tange e la cui realizzazione era prevista all’articolo 8 della legge 396 del 1990 (Interventi per Roma, Capitale della Repubblica).

Un secondo evento, una seduta straordinaria dell’assemblea capitolina, svoltosi il 24 febbraio, si è concluso con l’approvazione unanime di un documento nel quale si intende “avviare un percorso di metodo condiviso” per i poteri speciali e la riforma statutaria di Roma. Anche questa è una esigenza che, da decenni, non ha trovato una soluzione adeguata, se non con l’approvazione della istituzione della Città Metropolitana che, tuttavia, non ha apportato alcuna vera disponibilità di procedimenti normativi e di risorse finanziarie in grado di affrontare il cuore dei problemi della Città. Nell’occasione la sindaca Raggi ha anche lanciato la candidatura di Roma ad ospitare l’Expo 2030, precisando che per questo obbiettivo “vogliamo realizzare un quartiere interamente ecosostenibile sull’asse della Tiburtina”. 

Non mancano i dubbi sull’idoneità di un’area nella quale avrebbe dovuto collocarsi un elemento strategico del Sistema Direzionale e che, invece, ora appare in stato di abbandono, con un Tecnopolo che soffre per la scarsa volontà di realizzare un vero piano di informatizzazione dell’amministrazione pubblica, anche cittadina e di una rete di servizi da smart city. Siamo, in realtà, di fronte all’ennesimo e contraddittorio (si ricordi l’opposizione della Raggi ad ospitare le Olimpiadi del 2024) tentativo di utilizzare un evento internazionale per realizzare interventi che dovrebbero essere attuati secondo programmi di investimento di carattere ordinario. Si potrebbe andare con la memoria a Italia ’90, nel cui ambito si realizzarono tunnel, parcheggi, svincoli stradali e nuove linee per il trasporto pubblico, oppure al Giubileo del 2000 che vide l’approvazione di altre opere di ordinaria amministrazione. Stenta ad affermarsi l’idea che Roma deve poter essere governata, con adeguate normative e risorse, per poter svolgere appieno le sue funzioni di Capitale, non in occasioni straordinarie, ma ogni giorno, perché anche la sua quotidianità richiede una governance all’altezza della sue funzioni. 

C’è solo da osservare, poi, quanto sia velleitario richiedere di ospitare l’Expo 2030 quando non si è nella condizione, per esempio, di assicurare una adeguata cura manutentiva di strade, parchi, giardini e monumenti, ma neppure una dignitosa raccolta ed un trattamento dei rifiuti secondo tecniche ormai adottate in tutta Europa. La questione è anche e soprattutto quella di porsi il tema di quale Città si voglia realizzare nei prossimi dieci anni, quali progetti sia necessario predisporre e con quali priorità si intenda operare.

Constatiamo che quasi tutti i partiti che saranno chiamati entro pochi mesi a contendersi la guida della Città non hanno ancora indicato il loro candidato, ma neppure con quali programmi intendano presentarsi agli elettori. Non solo, ma resta misterioso quello che Roma vuole inserire nel piano europeo Next Generation Eu e non si è avviato neppure un doveroso confronto con le forze imprenditoriali e sociali della Città, le istituzioni culturali ed educative per avere quei suggerimenti che possano favorire l’obbiettivo di una visione comune e strategica dei programmi nei settori ambientali e delle infrastrutture informatiche che, insieme alle altre opere pubbliche necessarie,  possono essere proposte nel piano per coadiuvare lo sviluppo economico, l’adeguamento strutturale e la modernizzazione della Città.

Nella doverosa riflessione sulla realtà di questa difficile Città, abbandonata a se stessa, e ritenendo che siano presenti risorse ed energie in grado di invertire declino e rassegnazione, facciamo nostro il titolo della recentissima ricerca di Francesco Delzio: “Liberare Roma”, anche ricordando le speranze con le quali il Mcl e la Fondazione Italiana Europa Popolare diedero vita, a ottobre del 2019, ad un riuscito Convegno che recava un tema significativo: “Dai mali, le idee.Proposte per Roma”.

 

Pietro Giubilo




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