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24/02/2021
I Partiti alla resa dei conti
con il Governo Draghi si apre una nuova fase politica

Il Governo Draghi ottiene un’ampia maggioranza sia al Senato che alla Camera. I più ostili sostengono che non è il Governo che ha ottenuto più voti di fiducia, ma sicuramente è il Governo che si trova davanti le sfide maggiori, le più difficili e uno scenario non semplice da gestire.

Già, perché ad essere onesti la pandemia ha solo peggiorato ulteriormente le condizioni di un Paese in grande affanno, un Paese malato e che non risponde alle cure, forse perché tardive, troppo blande e molto spesso inadeguate.

Una nazione che, accanto a molte eccellenze imprenditoriali e sociali, è vittima di una diffusa arretratezza in molti ambiti: nell'economia, con una struttura produttiva troppo frammentata e incapace di competere internazionalmente; nell'organizzazione dello Stato, appesantito da una mole normativa barocca e molto spesso superata; nel mercato del lavoro, dove l'attenzione al capitale umano e la formazione continua sono delegati alla buona volontà dei singoli.

Questa analisi potrebbe andare avanti molto molto più a lungo ma non è su questo che volevo soffermarmi, anche se è indubbio che la pandemia ha solo aggravato uno scenario stagnante e ingessato che sembrava ormai irreversibile.
Ecco quindi che il Governo del Presidente, innegabile che la nascita di questo esecutivo sia stata fortemente voluto da Mattarella, abbia di fronte sfide particolarmente ardue.

Un dato sembra indiscutibile: l’azione di Governo con grande probabilità sarà indirizzata, guidata e gestita dalla squadra degli otto ministri tecnici, e dai pochi politici che godono della stima e della fiducia diretta del primo super ministro, mentre i ministri restanti di mera espressione politica eserciteranno le azioni liturgiche della vecchia architettura del potere, per ora scampata allo tsunami della pandemia e del Professor Draghi. Mentre la stessa politica, tutto il vecchio apparato dei partiti sarà chiamato a rinnovarsi sin dalle fondamenta per reggere l’urto.

Come era stato ampiamente previsto, infatti, la nascita del nuovo esecutivo parte comunque dalle macerie dei partiti, o forse si potrebbe anche dire dei vecchi partiti dato che il loro assetto, come oggi lo conosciamo, credo che stia per essere superato.

Tutte le forze politiche escono indebolite dalla nascita dell’esecutivo Draghi, e qualcuna anche con le ossa rotte nella conta interna. I conflitti intestini, già esistenti, sono inaspriti da una maggioranza definita fin troppo ampia che genera non pochi malumori e anche da cambi di posizione fin troppo repentini.

Iniziamo dal Movimento Cinque Stelle che è in pieno stato confusionale, uno stato che era già emerso il giorno dopo il fallimento del tentativo esplorativo affidato alla terza carica dello Stato, Roberto Fico, quando molti degli esponenti pentastellati si affrettavano a dichiarare che mai il Movimento da loro rappresentato avrebbe dato il suo appoggio a Draghi, in quanto simboleggiava per loro il “diavolo” l’amico della finanza, dei banchieri, dell’establishment europeo.
Una posizione presto abbandonata, ma non da tutti, infatti la spaccatura interna, della quale si vociferava da tempo, e negli ultimi giorni neanche troppo velatamente, è diventata formale il giorno del voto di fiducia al Senato dove quindici senatori hanno deciso di votare no, così come avevano preannunciato, trasformando la spaccatura da assodata a formale. A questo punto parlare di vera e propria scissione non è più azzardato, soprattutto perché poche ore dopo il voto il leader “reggente” Crimi si affrettava a dichiarare fuori dal Movimento chi aveva votato in modo contrario alle indicazioni date, e ad annunciare una indagine accurata per accertare le motivazioni dei sei assenti. Una linea durissima volta forse a far rientrare i dissidenti della Camera dei Deputati, ma che sembra non aver funzionato visto che anche alla Camera quindici deputati grillini hanno palesato con il voto il loro dissenso alla linea Grillo. Un vero e proprio caos anche perché alcuni dei dissidenti non solo non intendono abbandonare il Movimento ma addirittura ambiscono a rappresentarne un’ala nel direttivo. Era da tempo che si agitavano le varie anime del M5S e si registravano voci neanche troppo soffuse di spaccature importanti, acuite dall’uscita di Di Battista dal Movimento.

Le cose non vanno meglio nel PD di Zingaretti che sognava di entrare personalmente nel Governo, aveva fatto una battaglia di principio in favore del potente ministro Gualtieri, mantiene col bilancino le tre posizioni che riflettono le tre anime di un Partito confuso, che dovrebbe presto fare i conti con la sua identità smarrita e che oggi per sopravvivere deve accettare di sedere allo stesso tavolo con gli odiati “sovranisti” di Salvini, oltre che con l‘“infedele” Matteo Renzi.
Forse il PD ha scongiurato una probabile scissione ma si apre comunque un’ampia faglia divisiva fra la sinistra che attornia Zingaretti e la variegata area riformista, una faglia il cui grande solco è il futuro rapporto con il M5S.

Ma se Atene piange Sparta non ride, anche il centro destra ha i suoi problemi, Intanto perché l’alleanza si è divisa, almeno momentaneamente, dato che la Meloni ha fatto una scelta solitaria e ha deciso di tenere il partito all’opposizione, sperando così di erodere il consenso leghista e usufruire del vantaggio di essere l’unico partito all’opposizione e di raccogliere l’eventuale malcontento.

Anche la Lega al di là delle dichiarazioni rilasciate alla stampa non vive benissimo questa scelta, sia perché ha paura di essere superata da Fratelli D’Italia, che ha avuto comunque il coraggio di fare una scelta diversa, sia perché Salvini, che avrebbe gradito molto un anticipato ritorno al Governo, deve fare buon viso all’evidente crescita di ruolo di Giorgetti che molto prevedibilmente diverrà punto di riferimento degli imprenditori del nord filo-leghisti. A questo punto Salvini dovrà concentrare ancora di più la sua attenzione ai contenuti delle sue battaglie identitarie, sia pure alla luce della nuova vocazione europeista.

Infine c’è Forza Italia che ormai da tempo viene data sul punto di implodere e che nonostante tutto resiste, e ora si ritrova con un’anima più centrista e moderata al Governo e con una parte più filo-leghista che ha preso le redini del partito: vedremo come andrà a finire.

A completare il quadro c’è da sottolineare che il Premier deve e dovrà muoversi in una maggioranza così eterogenea che forse creerà tensioni ad ogni provvedimento, così come già successo per il rinvio dell’apertura delle piste da sci.

E in tutto questo intreccio di fili il nuovo esecutivo è chiamato al rilancio del Paese, a prendere l’Italia per mano e farla uscire dalla crisi pandemica, a far finalmente funzionare la campagna vaccinale che ancora oggi è abbastanza ferma o comunque troppo lenta rispetto al virus. Certo Draghi ha voluto riservare, per sé e per i suoi tecnici di fiducia, la gestione di tutti gli obiettivi che qualificheranno l’azione dell’esecutivo in Europa e nel mondo. Dall’ economia con il Recovery Plan, all’Innovazione e alla transizione green, ai rapporti europei e internazionali, alle grandi riforme, a cominciare dalla Giustizia e dalla Scuola.

In questo contesto i rischi di sfaldamento e di declino inesorabile si fanno ancora più concreti per i partiti, che sembrano rincorrere gli eventi in grande affanno. Uno scenario, questo, che evidenzia ancora di più e ancora una volta l’inadeguatezza della classe politica, una crisi sempre più evidente che parte da molto lontano, dal fallimento della Prima Repubblica perché con la dismissione dei partiti come erano stati concepiti fino ad allora si persero le loro tre funzioni principali: dare al Paese un indirizzo politico, selezionare la classe dirigente e organizzare la partecipazione.

Oggi L’Italia paga un prezzo molto alto, speriamo con questo Governo di invertire finalmente la rotta.

Fausta Tinari




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