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21/01/2021
Draghi ed il ‘whatever it takes’ fiscal
i governi dovrebbero prendere in prestito ben oltre le loro attuali entrate fiscali aumentando i deficit quanto necessario

‘Whatever it takes’ (in italiano ‘costi quel che costi’) sono state le parole che hanno salvato l'euro nell'estate del 2012, quasi quattro anni dopo il crollo della Lehman Brothers che aveva innescato una reazione a catena, portando il sistema finanziario mondiale, e quindi l'economia capitalista globale, sull'orlo del precipizio. La politica monetaria ultra-espansiva praticata dalla BCE fece rientrare la crisi dei debiti sovrani. Vediamo meglio. Mario Draghi, allora a capo della Banca Centrale Europea (BCE) fece questa ormai famosa promessa durante un meeting a Londra che ebbe l'effetto di incanalare mille miliardi di euro di liquidità della Banca Centrale verso le banche dell’Eurozona e verso l'acquisto di oltre due trilioni di titoli di Stato dell’Eurozona salvando quest’ultima da una probabile dissoluzione.

Da quando Mario Draghi ha terminato il suo incarico alla BCE a fine 2019 le sue apparizioni pubbliche si sono diradate. Sapendo che la sua eredità e la sua figura sono molto ingombranti ha centellinato le sue apparizioni pubbliche per non dare l’impressione di voler condizionare le scelte del Governo italiano e della BCE. Nel 2020 si è affacciato pertanto sulla scena pubblica solo tre volte: scrivendo un articolo per il Financial Times a fine marzo, intervenendo al Meeting di Rimini in agosto e coordinando insieme con l’economista indiano Raghuram Rajan un rapporto del Gruppo dei Trenta reso noto agli inizi di dicembre.

Nel prosieguo dell’articolo ci concentreremo però solo sulla colonna scritta per il prestigioso quotidiano finanziario inglese nella quale ha lanciato la sua proposta di una sorta di ‘whatever it takes’ ma stavolta di natura fiscale. Mario Draghi ha sostenuto che i governi dovrebbero prendere in prestito ben oltre le loro attuali entrate fiscali (che rappresentano il collaterale delle emissioni dei titoli), aumentando i deficit quanto necessario. Ciò contribuirebbe a far rimanere a galla i sistemi economici e preserverebbe la capacità produttiva che potrebbe tornare così a pieno regime nel periodo post-emergenza. Nell’argomentare ha riesumato la storia della finanza di guerra nella prima guerra mondiale per sostenere in modo forte e convincente che i bilanci dei governi europei dovrebbero assorbire lo shock economico del coronavirus (‘Dobbiamo mobilitarci come per la guerra’). Il ‘nostro’ questa storia la conosce bene: ci organizzò su insieme al compianto Rudi Dornbusch (suo professore al Mit di Boston) una conferenza del CEPR alla fine degli anni Ottanta del secolo breve a Villa Montecucco a Castelgandolfo vicino Roma. Inventando allora secondo uno dei partecipanti (Marcus Miller dell'Universita di Warwick) il quantitative easing.

Ma torniamo a bomba. La storia finanziaria della Grande Guerra a cui Draghi fa riferimento fornisce una cruciale intuizione che è rilevante per i governi europei di oggi: coloro che si preparano rapidamente per un lungo conflitto di durata incerta, e che lo fanno centralizzando l'emissione di debito pubblico, se la caveranno meglio di quelli che non lo fanno. Gran Bretagna e Francia hanno prevalso nel primo conflitto mondiale in parte perché hanno impostato il loro finanziamento del debito su solide basi a lungo termine. Utilizzando il loro merito di credito per attingere alle risorse esterne fornite dai risparmiatori degli Stati Uniti sia per loro che a beneficio dei loro alleati: Belgio, Grecia, Italia, Portogallo e Russia. Al contrario, i singoli governi statali tedeschi e la parte austriaco-ungherese dell'Impero Asburgico continuarono ad emettere i propri titoli al loro interno. Ciò contribuì ad indebolire le strutture federali a cui appartenevano, contribuendo alla sconfitta ed al crollo di entrambi gli imperi nel 1918.

Le lezioni per i governi dell'Eurozona che stanno fronteggiando gli effetti economici e sociali della pandemia difficilmente potrebbero essere più chiare. La creazione di uno strumento di debito comune per finanziare la lotta contro la pandemia non solo salverà vite umane, ma rafforzerà la solidarietà tanto necessaria e getterà le basi affinché l'Unione Europea possa fronteggiare shock avversi futuri. In parte questa operazione col Recovery Fund è in corso ma la strada da percorrere è ancora molto lunga. Finora il suo ragionamento non fa una grinza: sta giustamente suggerendo che prendere a prestito a tassi d'interessi attualmente bassi è più conveniente che mai. Ma rimarrà così anche dopo la fase di emergenza? Inoltre, anche ipotizzando un contenimento del pagamento degli interessi, alla fine il capitale dovrà essere sempre rimborsato. I governi senza una fiammata inflazionistica (in molti casi ci fu persino l’iperinflazione), usuale dopo guerre e rivoluzioni, saranno costretti a rimborsare l'intero valore nominale dei loro titoli sperimentando un drammatico aumento dei debiti pubblici. Super Mario però sembra essere abbastanza rilassato al riguardo. Forse è fiducioso perché secondo lui la narrativa potrebbe spostarsi su un "consolidamento fiscale" una volta che la crisi sarà finita.

Quello che manca secondo noi nella colonna è il ruolo che le banche centrali potrebbero svolgere, in questa fase critica, per reprimere la speculazione finanziaria e consentire il finanziamento monetario della spesa del settore pubblico. Ancora una volta, questo potrebbe svelare che la sostenibilità fiscale è un concetto fuorviante, se le banche centrali operassero come prestatori di ultima istanza (land of last resort). La sua analogia con la spesa durante la Grande Guerra come ricordato all'inizio e la seconda guerra mondiale è pertinente ma dobbiamo stare attenti alle conseguenze. Dopo la seconda guerra mondiale ci furono delle condizioni favorevoli ‘irripetibili’ che questa volta non sono all’orizzonte: sia di natura demografica che istituzionale. Un regime monetario internazionale ordinato (Bretton Woods all'americana.

All'inglese sarebbe stato ancora meglio ma John M. Keynes malato non riuscì ad imporre il suo progetto che ruotava su una valuta mondiale: il bancor e non sui miseri Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Prevalse la linea americana di Harry Dexter White), insieme a politiche keynesiane intelligenti di gestione della domanda aggregata e ad una considerevole spinta demografica, hanno fornito le basi per 30 anni di prosperità crescente e inclusiva. Oggi la demografia non arriverebbe in soccorso specialmente in Europa. Insomma se questo non è lo scenario che Mario Draghi prevede per il periodo post-guerra al coronavirus, allora il suo "Costi quel che costi" fiscale potrebbe non essere sufficiente questa volta.

Marco Boleo
 




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