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16/10/2020
Voglia di centro
la “voglia di centro” nasce riconoscendo la necessità di una nuova e più ampia frontiera della politica

La crisi investe aspetti profondi della condizione del Paese e dello scenario europeo. La conflittualità politica che ha caratterizzato a lungo i rapporti istituzionali e la prevalente ricerca di un primato elettorale per assicurare la governabilità risultano del tutto inadeguati a richiamare quelle risorse politico-sociali necessarie ad affrontare e risolvere i problemi. La democrazia rappresentativa in Italia rischia di logorarsi e il ricorso sempre più frequente a strumenti straordinari di governo appare un sintomo preoccupante e non l’espressione di una capacità di assumere responsabilità adatte alla situazione. La stessa necessità dell’orizzonte europeo viene giustificata da un pur importante interesse, ma muoversi secondo un respiro storico richiederebbe passi più coraggiosi e lungimiranti. 

I giorni seguiti al referendum ed alle elezioni regionali e comunali mostrano segnali, se pur contraddittori, che la politica si muove. L’esito di una partita che, sbagliando, sembrava doversi giocare ed esaurirsi tra la permanenza o meno del governo, va assumendo un connotato diverso. Lo scontro tra un centrodestra a guida sovranista   e una “nuova sinistra”, vincitrice nei ballottaggi e veicolata da un Pd che intende inglobare i “grillini”, va mostrando la sua inadeguatezza. Prima di quanto non si ritenga, la realtà chiederà e, forse, imporrà, schemi nuovi.

Segnali non marcati, ma significativi, gettano luce su un campo lasciato in abbandono, parallelamente al chiudersi degli orizzonti politici del Paese. E’ quella che, in una sintesi approssimativa, potremmo definire una “voglia di centro” che, con qualche riflessione di primo impatto, cercheremo di indagare.

All’interno degli sconfitti dal voto dei territori - l’esito del referendum è una storia a parte - è bastata l’esternazione di un Di Battista per scoprire che “il re è nudo”, cioè il movimento è in una crisi profonda, ovvero stia scomparendo. Di più, il non partito va apprendendo, senza possibilità di reagire, come in esso convivano, in un instabile coagulo, pulsioni di destra (Di Battista) e di sinistra, (Fico), con un ambizioso ex “portavoce”, Di Maio, che, assunte logore vesti neodorotee, pensa di ancorare senza danni il movimento nell’area del potere. 

Poiché in questo modo il Movimento 5 Stelle non ha più un avvenire, il premier Conte, abile a muoversi nel potere, tenta di giocare un suo ruolo e dare un connotato di centro alla sua poco efficace, opera di mediazione. In vero, tale scelta richiederebbe assai di più. Chi ha conosciuto il senso di quella politica sa bene come il colmare le divisioni, cioè avvicinare le distanze politiche per governare, non fosse una mera opera di geometria partitica, ma consistesse, soprattutto, nel rintracciare le ragioni profonde delle distanze, a volte dovute alle condizioni storiche e sociali e di tracciare un cammino necessario e saperlo percorrere, estendendo lo spazio dell’interesse generale, con decisioni a volte difficili, ma indispensabili. Un solo riferimento storico: De Gasperi, cattolico che governò con i partiti eredi della destra risorgimentale, fece approvare una coraggiosa riforma agraria che antepose le ragioni sociali a quelle degli interessi costituiti e della loro tutela, magari con il rispetto di un sacrosanto diritto di proprietà. Questo fu deciso perché l’interesse del Paese e il suo sviluppo richiedevano coraggio e determinazione. Alla politica di centro non mancò né la capacità di decidere e neppure, soprattutto, un ancoraggio forte all’Europa che apriva, senza incertezze, spazi nuovi. 

Ma la “voglia di centro” emerge anche in altri soggetti politici, cioè nella Lega, dove Giancarlo Giorgetti, sostenendo che, mentre la sinistra “vive di ideologie” e la destra, invece, “nella realtà”, indica al suo partito la strada del dialogo “con chi governerà la CDU, quindi l’Europa”, riferendosi ad Armin Laschet candidato alla presidenza della CDU. La direzione sarebbe quella verso il popolarismo europeo, poiché “l’Europa va dove va il Partito Popolare Europeo”. Giusto un anno fa, il parlamentare leghista, nella trasmissione di Maria Annunziata, non escluse la possibilità di un ingresso nel PPE, avendo il suo partito “con la CSU bavarese molti elementi di consonanza”. Queste posizioni stanno guadagnando spazio, non solo per l’aridità dei risultati a cui porta ormai il sovranismo, ma per le adesioni che, nel gruppo dei deputati, sembrano trovare le tesi del responsabile della politica estera del partito leghista. Si potrebbe anche rilevare come Giorgetti esprima anche l’animus della Lega dei territori, ove essa è nata. Tale politica, che presenta un connotato civico ed autonomista - è l’esempio del Veneto - appare, invece, compatibile con quella di un centro che senta l’ispirazione del popolarismo. Solo con una linea indicata da colui che viene indicato come il “numero 2”, la Lega potrebbe uscire dall’isolamento in cui si trova nel contesto europeo, stando insieme ai lepenisti. Resterebbe da verificare la natura della possibile svolta, con riferimento alla necessità di un chiarimento su aspetti non marginali che riguardano la solidarietà, le politiche di integrazione, il quadro internazionale; tuttavia privilegiare il confronto e l’inserimento nel contesto europeo, a partire dal dialogo col PPE, potrebbe significare l’inizio di un percorso che distinguerebbe la Lega da una destra ferma al sovranismo. 

E’ doveroso segnalare, infine, ma non ultimo per importanza, il tentativo che si è andato dipanando di dar vita ad un partito di centro e che si è concretizzato con la proposta di “Insieme”. Su un documento politico programmatico approvato in un assemblea agli inizi di ottobre sono confluite personalità del mondo cattolico, associazioni e realtà di territorio. L’idea è quella di un partito severamente critico nei riguardi della prospettiva bipolare (“l’Italia non è bipolare”) rilanciata, peraltro, dal Pd con l’alleanza organica con i 5 Stelle. Il tema conduttore è stato: “una democrazia liberale non può fare a meno di un partito di centro”. L’assemblea di fine settembre è sembrata raccogliere autorevoli sollecitazioni ecclesiali e grazie all’apporto di personalità vengono ripresi i temi e le priorità dell’impegno politico dei cattolici, con le loro radici culturali e l’ispirazione dei principi orientativi. Si renderebbe necessaria, in questa nuova formazione, una ancor più esplicita e costruttiva indicazione di cammino nell’ambito del popolarismo europeo, chiamato a salvaguardare e a completare la costruzione unitaria, secondo contenuti politici e di federalismo solidale.

Ci sembra di individuare, in questa analisi sommaria, che la “voglia di centro” nasca riconoscendo la sua necessità che non può derivare   solo dalla constatazione di errori e inadeguatezze, ma dall’emergere di una nuova e più ampia frontiera della politica.

Pietro Giubilo




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