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06/10/2020
Il fallimento del reddito di cittadinanza
Servono misure atte a predisporre un piano di investimenti che solo il Governo può adottare

II reddito di cittadinanza si avvia alla fine del primo ciclo di assegnazione di 18 mesi, segnando un bilancio largamente fallimentare come strumento di avvio al lavoro. I numeri sono impietosi: su circa un milione e 223mila percettori - potenzialmente occupabili - solo 318mila hanno stipulato entro luglio il cosiddetto Patto di servizio, e solo 174mila di questi sono stati convocati per la seconda volta dai centri per l'impiego. E se da Anpal Servizi si parla di 220mila offerte di lavoro e di formazione proposte, non si sa quante di queste si siano esattamente tradotte in rapporti di lavoro. I circa 196miIa titolari del sostegno che hanno trovato un'occupazione in più di un anno (principalmente prima della pandemia) sono passati, per lo più, da canali esterni ai servizi pubblici.

E proprio con questi numeri in mano che il premier Giuseppe Conte ha chiamato a rapporto il ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo, e il capo dell'Anpal, il grillino Domenico Parisi, per invitarli a una soluzione operativa a breve, che significa innanzitutto giro di vite sulle offerte di lavoro, che non potranno più essere rifiutate, e sui cosiddetti lavori di pubblica utilità per i Comuni che dovranno essere svolti concretamente. Infatti è scaduta la prima tranche di sussidi richiesti e ottenuti a marzo del 2019: si tratta di 410mila assegni per altrettanti nuclei familiari. Entro la fine dell'anno, poi, scadranno in totale 635mila trattamenti, su un totale a settembre di un milione e 168mila famiglie che li ricevono (oltre 1,3 milioni aggiungendo la pensione di cittadinanza). Tutti i destinatari, a meno di norme ad hoc di proroga, dovranno stare un mese senza assegno e richiedere daccapo il reddito. Per i nuclei che otterranno di nuovo l'indennità, però, varrà la regola secondo la quale dovranno accettare qualsiasi offerta di lavoro venga loro proposta per qualsiasi destinazione in Italia, pena la revoca del beneficio. Proprio questa regola, però, dovrà costituire la chiave di volta della stretta annunciata dal Presidente del Consiglio per tutti e non solo per i rinnovi.

II problema, però, a quel punto si sposta sull'organizzazione dei servizi pubblici per l'impiego, che ha fatto e fa acqua da tutte le parti. Il sistema di incrocio tra domanda e offerta, che doveva passare dall'app di Parisi, presentata in pompa magna lo scorso anno con il suo sponsor, Luigi Di Maio, è rimasta al palo, avvolta nelle nebbie dell'AnpaI. Le regioni, che hanno le loro piattaforme, si muovono, a loro volta, autonomamente, con differenti livelli di efficienza. Per non parlare dei 3mila navigator che sono rimasti in panchina per tutta la fase del lockdown e anche dopo, per essere impiegati in mansioni di data entry dagli inizi di settembre. Il risultato è una babele che produce minimi incontri tra domanda e offerta. Da qui la richiesta di Conte al Ministro dell'Innovazione, Paola Pisano, di ripensare completamente il sistema.

Infine da Assolavoro, l'Associazione delle Agenzie private per il lavoro, arriva il monito di fare chiarezza tra sussidi necessari per le persone che vivono in condizioni di difficoltà e politiche attive per il lavoro. I primi è preferibile che siano i Comuni a gestirli. Le politiche attive passano attraverso presa in carico, bilancio delle competenze, orientamento, affiancamento e inserimento e vanno collegate a costi standard e ad un forte orientamento al risultato. Le Agenzie per il lavoro, lo ricordiamo, sono in prima linea per garantire servizi di qualità, a cominciare da un sistema formativo finalizzato all'occupazione.

Dal canto suo l’ufficio studi di Confcommercio mette l'accento sulla ripresa dell'occupazione indipendente e la risalita dei consumi, con la conseguente riduzione del rapporto debito-Pil, a sostegno della efficacia nei processi di investimento delle risorse europee.

Sono perplessi, tuttavia, i sindacati che non nascondono le preoccupazioni per il futuro e insisterebbero su misure straordinarie: per uscire dall'avvitamento servono investimenti produttivi veri, non «misure spot o bonus assistenziali». In particolare, la Cisl chiede interventi per la formazione dei giovani e per favorire il lavoro femminile.

Non si dovrà abbandonare, allora, l'accento sull'allarme delle nuove generazioni con i dati sulla disoccupazione giovanile (pari al 32%) che evidenziano un profondo gap con il resto d'Europa, nonostante l'uso massimo di ammortizzatori sociali ed il blocco dei licenziamenti. Servono misure atte a predisporre un piano di investimenti che solo il Governo può adottare.

Gilberto Minghetti
 




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