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01/09/2020
Dietro il malessere politico del Paese
La politica deve tornare a domandarsi quale sia veramente il suo compito, abbandonando il campo della “deriva biologica”

Antonio Polito firma autorevole del Corriere della Sera ha una lunga e coerente storia di riformista. Con questo titolo diresse per anni un quotidiano che tentò di portare nella sinistra una cultura politica nuova, ma gli eredi del PCI se ne avvalsero assai poco. 

E’ intervenuto in agosto per stigmatizzare le “ipocrisie” e il “tribalismo” delle attuali forze politiche ed in particolare per sottolineare lo squallore delle ultime polemiche collegate ad un virus, “capace di riaccendere su feroci basi antropologiche” il conflitto tra le diverse concezioni politiche. “Per chi ha vissuto epoche in cui destra e sinistra avevano un contenuto ideologico” ha voluto precisare “questa deriva biologica della politica ha qualcosa di ripugnante, e di incomprensibile”.

Aggiungiamo, per completare e confermare il quadro, che quel tempo era stato governato da uno spazio fuori dal conflitto ideologico, quello che diede vita alla storia dei governi centristi e di centrosinistra e dei relativi programmi riformisti. Il Paese, pur uscito da poco dalla guerra civile, fino a parte degli anni ’70, aveva trovato il modo di costruire una politica con alla base un comune sentire, sostanzialmente rispettosa delle diversità e dei ruoli fino, addirittura, a ipotizzare una solidarietà nazionale. Questo potette accadere anche quando la violenza uccideva per strada e si incendiavano le sedi dei partiti.

Dopo il ’68, il terrorismo, pur sconfitto, lasciò tracce più a lungo di quanto non si ritenesse. La uccisione di Aldo Moro, il politico che aveva dedicato una vita a tessere e a consolidare il sistema democratico, si è rivelata come l’emblema di un passaggio epocale più di quanto non apparisse allora. Il veleno sparso in quegli anni è andato mutando, assumendo forme e contenuti differenti, utilizzando scandali e virus, affiancando debolezze e rivendicazioni, cancellando nella prassi politica di gran parte dei partiti lo spazio del bene comune e del senso comunitario. Anzi, man mano annullandoli, comprimendo, cioè, la loro capacità di essere rappresentanza e veicoli di partecipazione. 

La complessa vicenda delle alleanze politiche rivela che, con esse, pur in mezzo a qualche smagliatura, si era ricercato il senso e l’obbiettivo storico di allargare e rafforzare la democrazia, andando ben oltre il guadagno di potere ed i vantaggi di parte. I passaggi storici: il centrismo, l’apertura a sinistra e la solidarietà nazionale, avevano tutte un allaccio al cammino delle storia italiana, in sintonia con la maturazione della politica e della società.

Dagli anni ’90 l’Italia è andata smarrendo la strada maestra. La politica ha perso il contatto con la storia. Le alleanze politiche hanno cominciato ad essere costruite con il solo intento di vincere le elezioni e governare, rivelandosi però, neppure in grado di ottenere stabilmente questa condizione; poi gli accordi si sono finalizzati al mero tornaconto del potere, registrato dall’espandersi di un trasformismo di massa presso i parlamentari. Oggi siamo in presenza di un ulteriore forma di trasformismo, quello di poter realizzare alleanze con scambio di ruoli, come dimostrato dal passaggio dal Conte 1 al Conte 2. Ci si può, indifferentemente, alleare e guidare governi, accordandosi con forze opposte, senza sentire il dovere né di passaggi elettorali, né di veri confronti interni alle forze politiche. Bastano poche migliaia di clic o una intervista del leader più o meno di turno su un quotidiano. 

Si è acutizzata la conflittualità tra le forze politiche. Non una conflittualità di idee, di programmi, di politiche, ma di linguaggio e di personalismi. La dimensione personale, privata, si è fatta protagonista e sostituisce quella politica. L’ultimo bipolarismo sta perdendo il carattere di una alleanza tra possibili omogeneità politiche, ma si sviluppa su linee del tutto diverse. Si è iniziato a fomentare la divisione tra onesti e non, poi tra “barbari” e “responsabili”, adesso come spiega Polito si va verso una radicalizzazione “su temi più antropologici, a cominciare dalle virtù morali, fino ad accentuare il conflitto tra tipi umani e stili di vita diversi, perfino tra modi e modi di divertirsi”.

Al di là degli effetti sul piano della politica contingente di per sé già disastrosi, si porta il Paese a vivere una condizione nella quale vengono a mancare i presupposti di quella tenuta necessaria di fronte ad una complessità che si sviluppa su vari piani. “La qualità dello scontro - rileva Polito - [ha] indebolito la coesione nazionale e fomentato l’invidia sociale. Questa narrazione sta producendo due tribù di italiani tra loro inconciliabili, e sta rendendo più difficile la costruzione di una idea di bene comune”.

Non ci si può arrendere. Occorre ricostruire la rappresentanza e il senso delle alleanze politiche che non possono misurarsi sul contingente. Cosa veramente tiene in piedi un accordo di centrodestra se lo spazio del riammaglio popolare e moderato viene emarginato? Cosa significa una alleanza tra Pd e Cinque Stelle se non il tentativo di una reciproca assicurazione di potere?  

La politica deve tornare a domandarsi quale sia veramente il suo compito, abbandonando il campo della “deriva biologica”. E’ una prospettiva che, come sempre nei momenti importanti, deve partire da un livello di compito storico e da aspetti valoriali della vera questione antropologica.

Pietro Giubilo 




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