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28/07/2020
Il Recovery Fund c’è!
Nello spirito di Jean Monet anche in questa occasione il lento processo dell’Unione Europea è andato avanti attraverso una crisi

Dopo quattro giorni e quattro notti di negoziati febbrili al Consiglio Europeo s’è trovato un accordo. Scaturito da concessioni ai Paesi frugali che si erano impuntati sul Recovery Fund: la possibilità di ridiscutere i finanziamenti in corso d’opera (il freno di emergenza) e maggiori sconti sulla loro “quota di partecipazione” all’UE. Nello specifico (tutti ci hanno guadagnato): la Svezia ha ottenuto 1,06 miliardi di sconto; l’Austria 565 milioni; l’Olanda 1,9 miliardi; la Danimarca 377 milioni; ed infine la Germania, che per la prima volta si porta a casa 3,6 miliardi.

Nello spirito di Jean Monet anche in questa occasione il lento processo dell’Unione Europea è andato avanti attraverso una crisi: verso però orizzonti ignoti. Quello che non sappiamo, infatti, è se in questo lento processo ci sarà o meno un approdo finale: in altre parole se l’Europa si rafforzerà o se si disgregherà negli anni a venire. Come ha scritto Massimo Riva su La Repubblica sono emerse due linee di frattura sul continente europeo che difficilmente verranno sanate: da una parte ci sono coloro che spingono per un percorso di ispirazione federale che rafforzi ruolo e potere della Commissione e del Parlamento europeo (Francia e Germania) con la Commissione che si indebita sui mercati; mentre dalla parte opposta ci sono Paesi (i frugali) i quali considerano l’Europa alla stregua di una unione doganale e che con fatica sopportano l’esistenza ingombrante della Commissione e del Parlamento (ritenendo che a menare le danze debba essere il Consiglio dei governi nazionali).

Al netto di queste considerazioni, proviamo ora ad esaminare le misure contenute nell’accordo e le conseguenze che ne potrebbero scaturire. La Commissione Europea avrà la possibilità di indebitarsi sul mercato dei capitali per conto dell’Unione Europea. Lo potrà fare fino ad un massimo di 750 miliardi di euro (che poi utilizzerà per 360 miliardi di prestiti a trent’anni agli Stati membri e 390 miliardi di aiuti a fondo perduto), e fino al 2026. Finora, la possibilità di emettere debito pubblico comune era limitata a strumenti esterni al bilancio comunitario: si pensi al MES, alla SURE, ed alla BEI. Così facendo l’Unione Europea compie un primo passo verso una politica fiscale comune. Il collaterale di questa ingente emissione di debito sarà costituito dal bilancio comunitario che verrà ampliato con maggiori contributi versati dai singoli Paesi e con una maggiore capacità fiscale dell’UE. Il bilancio comunitario garante dell’operazione finanziaria, infatti, riceverà maggiori risorse dai singoli Paesi che dovranno conferire una somma che passerà dall’1,20% del Reddito Nazionale Lordo all’1,40%: con la possibilità di raggiungere un 2% qualora si avesse bisogno di maggiori risorse finanziarie per ripagare i debiti (Per l’Italia stiamo parlando di 3,6 mld di euro ogni anno, più ulteriori 10,6 miliardi nel caso si rendesse necessario). Le entrate dell’Unione Europea deriveranno anche a partire dall’inizio dell’anno prossimo da una tassa imposta sulla plastica non riciclata (che dovrà essere esatta dai singoli Stati), e da giugno del prossimo anno da una tassa sui beni importati la cui produzione contiene l’utilizzo del carbone, e da una web-tax.

Chiarito l’aspetto delle risorse che l’UE utilizzerà per ripagare i prestiti passiamo ad esaminare da vicino il programma “Next Generation EU” che sta al centro del Recovery Fund. Al suo interno abbiamo sette sottoprogrammi, dei quali il più importante è il Recovery and Resilience Facility: questo perché in esso sono concentrati tutti i prestiti e l’80% dei contributi a fondo perduto (312,5 mld su 390). Le risorse saranno assegnate ai Paesi membri, entro il 2023 (i pagamenti avverranno, invece, entro il 2026). Ricordando che il 70% dei contributi a fondo perduto dovrà essere impegnato entro il 2022. I criteri di allocazione delle risorse tra i Paesi, invece, rimangono quelli indicati dalla Commissione Europea e precisamente: 1) la popolazione; 2) il Pil pro-capite; e 3) l’aumento della disoccupazione nel periodo 2015-2019 (quest’ultimo criterio, per l’anno 2023, sarà sostituito dalla perdita cumulata di Pil reale nel biennio 2020-2021). I Paesi beneficiari dovranno presentare, invece, i programmi per l’utilizzo delle risorse messe a loro disposizione per il triennio 2021-2023. Questi ultimi poi saranno rivisti e approvati nel 2022, in modo che la Commissione Europea potrà procedere all’allocazione definitiva (delle risorse) entro il 2023. Ma vediamo meglio come dovranno essere le procedure da seguire per arrivare alle tanto agognate risorse. Entro due mesi dalla presentazione dei programmi di impiego dei singoli Paesi, la Commissione Europea dovrà prenderli in esame e valutarli. Lo farà sulla base di un pre-requisito (l’aderenza alla transizione verso una economia verde e digitale) e dei seguenti due criteri: I) la coerenza con le raccomandazioni specifiche che la Commissione fa ogni anno ad ogni Paese membro (e l’Italia le conosce bene da tempo); II) il rafforzamento della crescita del Pil potenziale. La valutazione della Commissione deve poi essere vagliata ed approvata dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata. Durante l’attuazione del piano, le varie rate dei pagamenti effettivi ai Paesi membri saranno vincolate alle seguenti fasi: a) il Comitato Economico e Finanziario dovrà essere d’accordo sui progressi compiuti dal Paese membro e sulla coerenza del suo operato rispetto agli impegni sottoscritti; b) se un qualsiasi Paese membro ritiene che ci siano dei profondi scostamenti dagli impegni presi da un altro Paese, può chiedere la convocazione straordinaria del Consiglio Europeo per discuterne (il freno di emergenza ricordato all’inizio). Insomma fino a che il Consiglio Europeo non sviscera il problema, la Commissione non può prendere alcuna decisione e non può procedere al pagamento. Nell’accordo c’è scritto che questo processo impiega tre mesi, ma potrebbe durare anche di più. Questi aspetti specie in Italia vengono sottovalutati. Nei dibattiti, infatti, si dà per scontato che le risorse arriveranno e che ciò avverrà nella seconda metà del prossimo anno. Sottovalutando che la strada verso l’ottenimento dei ‘Fondi per la Ripresa’ è scoscesa e piena di insidie che potrebbero vanificare o ritardare l’arrivo delle risorse finanziarie. Con le conseguenze del caso.

Marco Boleo
 




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