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21/07/2020
L’unità europea dove ognuno corre per sé
Nel Consiglio europeo alla fine hanno combattuto tutti contro tutti, guidati solo dalla prospettiva di portare a casa più soldi possibile

C’era una volta Sergio Leone. No. C’era una volta la trilogia del dollaro e in particolare Il buono, il brutto e il cattivo, un genere western che ha incarnato una moderna fama d'epoca senza appiattirsi e senza tramutarsi in gesta di stile cavalleresco, senza verificare la ricostruzione storica ma con il suo fascino che nasce dal progressivo distacco dal modello ideale, cioè quello che è la base del western. Non è l'etica dell’avventura bensì l'accordo tra il mondo e l'uomo come drammatica consapevolezza di un universo impossibile. Alcuni spettatori sono condannati a trasfigurarlo per tentare di percepire la totalità alla forma epica, ma questo è il cinema di Sergio Leone che pienamente omogeneo nel senso di nostalgia si allinea al western classico: lo sguardo del regista affronta semplicemente la storia, il rapporto con quel cinema perfetto, con quella concessione virtuale, la storia del nostro amore di spettatori europei per quel ciclico ripetersi di itinerari simbolici.

Dal nostro punto di vista ci azzardiamo a sottolineare molto la psicologia dei personaggi: Joe il biondo, Tuco e Sentenza (Clint Eastwood, Ely Wallach e Lee Van Cleef) sempre sorretti dal culto della contraddizione, dalle metafore e dai significati cinematografici (bontà, bruttezza e cattiveria), che questa volta superano la prassi del sellare un cavallo, bere whisky al saloon o uccidere, ma incarnano la verità di uomini che non godono più dei privilegi dell’innocenza e si trovano esposti a ogni degenerazione, e dove il colpo di scena diventa protagonista. Tuco contraddice ogni spontaneità, il biondo ogni fedeltà, Sentenza ogni tipo di umanità: sono caparbiamente sorretti dai tanti effetti di una colonna musicale a dir poco eccezionale di Ennio Morricone.

Da Il buono, il brutto e il cattivo di Sergio Leone, mi sposto allo scenario di Bruxelles: c’è un negoziato difficile da leggere e interpretare, uno dei più drammatici Consigli europei della storia, in quanto rappresenta una partita a scacchi in cui molti hanno giocato su più tavoli e tante cose sono apparse diverse da come erano in realtà.

Il più cattivo di tutti è stato il premier olandese Mark Rutte, liberale in cerca di conferma alle prossime elezioni di marzo, che ha recitato la parte scomoda di chi si immola per la giusta causa del rigore nordico dei conti, ma, in realtà, ha cercato di difendere le proprie quote di rebates, ossia gli sconti dei bilanci che l'UE ha concesso all'Olanda, e una politica fiscale eccessivamente disinvolta.

Il brutto è stato Victor Orbán, mastino dell'Est ormai sinonimo di intolleranza, che un po' a sorpresa ha attaccato Rutte sul piano personale, facendo balenare l'idea di chissà quale schema persecutorio nei suoi confronti. ln realtà ha tuonato per contrastare il sacrosanto attacco che la UE ha portato al sistema di regole interne all'Ungheria, che nulla hanno a che fare con una democrazia.

E c’è stato il bello, Giuseppe Conte, maestro di eleganza, di stile, eloquio affettato e mai fuori posto, che ha attaccato Rutte accusandolo di volere la fine dell'Unione Europea e la sua rovina nei mercati. ln realtà è andato a Bruxelles sapendo di avere pochissimo spazio di manovra, stretto tra una maggioranza che traballa e non vuole il Mes e un'opposizione pronta a soffiare sul fuoco di un eventuale insuccesso, anche in vista delle prossime elezioni. E Conte sa che se le regionali andranno male o addirittura molto male, salterà il Pd e con il Pd il suo governo.

Tutto sommato è stato un vertice in cui alla fine hanno combattuto tutti contro tutti, illuminati solo dalla prospettiva di portare a casa più soldi possibile. Se qualche alleanza si è vista, anche questa è stata sempre all'insegna del comune interesse per il tornaconto, senza stare troppo a scomodare appartenenze politiche e aree di riferimento geografiche.

Una trattativa che in certi momenti ha fatto assomigliare la UE a un mercato delle vacche, un alti e bassi che al mattino faceva dire a tutti i partecipanti che il fallimento era ormai scontato e già si faceva conto su un supplemento di un possibile summit ad agosto. Come in ogni trattativa, la discussione è andata avanti. I frugali ad esempio, hanno dato battaglia per difendere il meccanismo degli sconti sui contributi comunitari, con punte di rilancio e arretramento, dove tra tanti giganti ha trovato spazio anche la giovane premier finlandese che ha cercato di alzare la voce e portare a casa un po' di euro. Poca Europa o, per lo meno, poca coscienza di vivere un momento epocale e un destino comune che, come tutti i momenti epocali, esige grandi regie. Parafrasando Jacques Delors si ricorda a tutti che l’Europa è nata per andare avanti.

Quando le seconde linee giocano da protagonisti, significa che i protagonisti non hanno saputo giocare la propria, di parte.

Ecco, questo è stato il Consiglio di questi giorni, addirittura è meglio il film di Sergio Leone!

Gilberto Minghetti
 




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