La legge 107/2015 ha il seguente titolo: “Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti”: con toni trionfalistici e propagandistici è stata denominata “La Buona Scuola”, suddivisa in otto capitoli contenenti ventiquattro articoli.
La legge è stata preceduta da una serie di incontri tenuti con le associazioni studentesche, le rappresentanze degli insegnanti e delle parti sindacali. Il principio era buono e la partenza appariva nella giusta direzione: una riforma che chiamava “gli Stati generali della scuola” per aprire un nuovo capitolo nel campo dell’istruzione.
Le aspettative, però, andarono subito deluse in quanto, approvato in Parlamento il disegno generale della legge, il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, avocò a sé tutte le deleghe per attuare la riforma, escludendo, di fatto, anche il Parlamento da ogni tipo di discussione.
Che cosa prevede la Legge 107 del 2015? Una verticalizzazione della scuola, pieni poteri ai Dirigenti scolastici, lo svuotamento decisionale del corpo docente.
Il Dirigente scolastico, in piena autonomia, può gestire il personale scolastico, decidere il monte orario delle discipline ritenute più qualificanti, può assumere altro personale per ampliare l’offerta formativa in specifiche discipline, col compito di approfondimento didattico o di supplenza per docenti assenti. La questione è diventata spinosa perché l’elaborazione dei bisogni formativi, che un tempo era di competenza dei Consigli di classe e dei Collegi docenti, passa esclusivamente nelle mani del Dirigente; ciò ha creato una discrasia, in quanto il personale richiesto non necessita della laurea specifica nelle discipline da approfondire, ma il Dirigente scolastico fa richiesta di docenti inseriti nell’”organico funzionale per l’autonomia” e l’Ufficio scolastico Regionale decide quale docente inviare, pertanto alla richiesta di un docente di filosofia, può corrispondere la nomina di un docente di chimica; insomma, basta che abbia una laurea e il dado è tratto.
Inoltre, la legge prevede l’abolizione delle graduatorie, i docenti rientrano in un Albo regionale da cui il Dirigente attinge per scegliere l’insegnante a cui proporre un incarico che ha durata triennale a seconda del progetto educativo che il Dirigente ha delineato (insomma, la tanto vituperata regionalizzazione della scuola è già in atto). Inoltre, sempre il Dirigente ha libertà nella gestione degli edifici, della didattica, dei progetti formativi e dei fondi a disposizione di ogni singola scuola.
Cosa resta ai dicenti? Un bonus di 500 euro per l’auto formazione e un premio di 1000 euro per l’insegnate più bravo (ovviamente è sempre il Dirigente a decidere chi sia il più meritevole).
Mentre nella riforma precedente le esperienze formative in aziende erano previste solo per gli studenti degli istituti tecnici e professionali, Renzi ha ritenuto opportuno che, quella che ha chiamato “alternanza scuola-lavoro”, sia estesa agli studenti del’ultimo triennio di tutte le scuole superiori (compresi i licei).
Il boccone amaro che Berlusconi non è riuscito a fare ingoiare agli italiani, è riuscito a farlo Renzi: le scuole continueranno ad ottenere i finanziamenti statali, ma, attenzione, potranno usufruire di un bonus fiscale per eventuali donazioni in denaro ricevute da privati (ormai lo sappiamo: ciò che viene proposto dalla destra è cattivo, ciò che proviene da sinistra, “per la causa”, lo si accetta supinamente).
E con questo, la scuola è finita, stiamo tutti sereni.
Alberto Fico