La doverosa osservazione della condizione del Paese e delle sue prospettive richiede una attenzione per cogliere quei segni che possono indicare dove si stia procedendo.
Quel “nulla sarà come prima” senza che venga aggiunto altro, come viene comunicato incessantemente, prelude ad una ridefinizione della vita collettiva, dopo il fermo imposto per la pandemia.
Come tentare di intravedere, sulla base dei segnali attuali, il “nuovo” che si andrà costruendo?
Nello studio e nella ricerca delle cause della crisi e la via per uscirne, per la parte sanitaria è stata utilizzata una sovrabbondanza di “competenze” scientifiche, spesso in contraddizione, mentre, per la parte economica, sono state presentate proposte di gruppi di “esperti” elaborate fuori da un confronto con le realtà istituzionali ed associative legate ai territori ed ai settori economici più interessati. In tutti e due gli aspetti, quindi, si è in presenza di un indirizzo tecnocratico, accolto e divulgato dai media che tendono ad imporlo come una nuova verità.
Al livello istituzionale è noto il disagio di qualificati costituzionalisti circa la tipologia dei provvedimenti adottati, sui quali ben poco ha potuto operare il Palamento, mentre si è palesato un conflitto tra organi centrali ed enti regionali. La comunicazione utilizzata per presentare le decisioni adottate ha accentuato ancora di più questa restrizione della partecipazione che, invece, la situazione avrebbe richiesto, proprio per le conseguenze a livello sociale della diffusione e del contenimento del covid 19. La “parata” degli “Stati Generali”, poi, ha mostrato, come ha sottolineato Marco Margrita, una totale autoreferenzialità ben colta da Alessandro De Angelis di Huffington Post ed una scarsa concretezza come ha rilevato Carlo Bonomi presidente di Confindustria.
Anche sul piano del costume complessivo, abbiamo assistito ad un “passaggio” che inciderà fortemente sulle abitudini e i comportamenti quotidiani. Molte attività e gesti consueti della vita quotidiana subiranno una accelerazione nello sviluppo più o meno consapevole della comunicazione per via informatica. L’eccezionalità della situazione impedisce di comprendere a pieno i cambiamenti che essi provocano, mentre, come affermato in un recente studio dal professor Giovanni Maddalena, la conoscenza di questi processi “risulta necessaria se non si vuole essere trascinati a nostro discapito e con effetti non sempre piacevoli dalla dinamica strutturale delle tecnologie comunicative che abbiamo creato”. “L’effettiva ‘appropriazione’ di questi media e delle pratiche che essi consentono - spiega Maddalena - comincia con la conquista di una consapevolezza critica del modo in cui essi agiscono e si intrecciano con i nostri processi conoscitivi e con le nostre dinamiche relazionali” e di conseguenza, non a caso, sul recepimento a livello personale della app Immuni si sono avuti autorevoli ed espliciti dissensi.
Questi tre aspetti ci inducono a ritenere che il cambiamento che viene prospettato, se anticipato dai “sintomi” sopra descritti, non appare come un miglioramento della connotazione democratica e partecipativa delle istituzioni e neppure di una vita sociale coerente con principi di libertà e di sviluppo della capacità critica dei cittadini. Siamo di fronte alla possibilità di un radicale allontanamento dai cardini sui quali si sono costruiti i sistemi politici e sociali dell’Europa, legati alla cultura cristiana ed alla libertà nel senso più pieno.
Il piano sociale e politico è chiamato in causa di fronte a questi scenari. Il quadro che si offre in Italia non sembra soddisfare l’esigenza di una capacità di comprensione e di governo di queste tendenze. Siamo in presenza di una sostanziale acquiescenza o di una, spesso disordinata, protesta. L’inaridimento delle radici culturali delle forze politiche, la ridotta pratica partecipativa e di confronto con la realtà sociali, la condizionante esigenza di permanere nel potere ne segnano i limiti. La politica rischia di diventare una cittadella assediata, isolata dalla realtà, senza che arrivi il “rifornimento” della linfa vitale di ciò che è più vivo nella società.
Non possiamo che auspicare un ritorno ad una politica fondata su un programma che nasca da principi che diano forza alla dignità dell’uomo e della sua più alta attività, cioè il lavoro; che non abbandoni, ma costruisca la uguaglianza delle opportunità e lo sviluppo complessivo della nazione in un quadro di costruzione unitaria dell’Europa; che mantenga la partecipazione democratica come principio fondante delle istituzioni; che assicuri la rappresentanza della articolata realtà sociale del Paese; che dimostri di tutelare i più deboli e dia ai giovani strutture educative qualificate in grado di porli nella condizione di lavorare e competere adeguatamente e che sappia misurasi sulle sfide ambientali in nome di una “ecologia integrale” e dei devastanti drammi dei fenomeni migratori, specchio di problemi e di diseguaglianze da affrontare.
Sembrano temi scontati, - la buona politica non lo è mai - invece sono linee di indirizzo oggi emarginate e sostituite dagli idoli della “tecnica”, della “efficienza”, della “competenza” o, più banalmente della “competitività” che, certo, possono avere il loro spazio, ma non egemone.
Per quanto ci riguarda, come Fondazione Italiana Europa Popolare, sappiamo quanto vale l’ispirazione della Dottrina sociale della Chiesa. Ci appartengono per conoscenza e pratica sul campo la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, il prezioso valore dei corpi intermedi, la vicinanza alle emarginazioni. Valori che ci siamo impegnati a difendere e continueremo a farlo nella società e a suggerire alle istituzioni.
Tutto questo, complessivamente, è qualcosa che ha un nome antico, ma che si manifesta sempre più attuale: popolarismo.
Pietro Giubilo