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16/06/2020
Terremoto del centro Italia
Dopo quasi 4 anni realizzati solo 15 interventi di ricostruzione

Cari lettori la fine del 2016 e l’inizio del 2017 sono stati mesi di distruzione, morte e desolazione per le popolazioni e i territori del centro Italia. Quattro forti scosse di terremoto hanno interessato la zona dell’Appennino centrale, coinvolgendo quattro regioni: Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo.

La prima scossa è stata quella del 24 agosto del 2016. Alle 3.36 una scossa di magnitudo 6 della scala Richter ha avuto epicentro vicino al comune di Accumoli, in provincia di Rieti. L’energia sprigionata dalle scosse ha coinvolto le province di Perugia, Ascoli Piceno, L’Aquila e Teramo.

L’Italia si risveglia di soprassalto con numerosi comuni in frantumi: Accumoli, Amatrice, Arquata del Tronto sono completamente rasi al suolo. Le persone decedute sono 299: 237 ad Amatrice (RI), 11 ad Accumoli (RI) e 51 ad Arquata del Tronto (AP). Quelle ferite per cui è stata necessaria l’ospedalizzazione sono state 365.299. In tutto vengono coinvolte circa 600 mila persone in una zona di quasi ottomila mila chilometri quadrati (dati Protezione Civile), il preziosissimo cuore montano del centro Italia con 43.623 imprese attive, 25.939 aziende agro-alimentari, 1.939 strutture recettive, 690 scuole.

Cos’è successo in questi quattro anni? Com’è stata gestita l’emergenza e, soprattutto, la fase del post terremoto?

Il sistema di emergenza durante i mesi successivi alla prima scossa incontra serie difficoltà per via delle continue e numerose scosse, dimostrando di essere una macchina fragile e impreparata davanti ad eventi in successione e di tale intensità, aumentando il senso di pericolo, abbandono e solitudine delle popolazioni colpite.

Il primo settembre 2016 il Consiglio dei Ministri nomina Vasco Errani (Partito Democratico) Commissario straordinario del Governo per la ricostruzione in ragione della sua esperienza con il terremoto in Emilia del 2012. I presidenti delle regioni interessate vengono nominati vice commissari, creando tra i territori un coordinamento della ricostruzione. In ogni regione viene costituito un comitato istituzionale, composto dal governatore, dai presidenti delle province e i sindaci dei Comuni del cratere. Inoltre viene istituito un ufficio speciale per la ricostruzione che si occupa della pianificazione urbanistica, dell’istruttoria per il rilascio delle concessioni di contributi e di tutte le altre procedure e pratiche necessarie alla ricostruzione privata. Tali uffici speciali dovranno anche provvedere all’attuazione diretta degli interventi di ripristino o ricostruzione di opere pubbliche e beni culturali e agli interventi di prima emergenza e ospitare al loro interno uno sportello unico per le attività produttive (SUAP) unitario per tutti i comuni coinvolti.

Il 26 ottobre del 2016 tornano le forti scosse nella zona appenninica al confine tra Marche e Umbria. Due sono le più devastanti: quella delle 19.10 di magnitudo 5.4 e quella delle 21.18 di magnitudo 5.9. I due epicentri si trovano tra le province di Macerata, Perugia e Ascoli Piceno. I bellissimi comuni di Ussita, Visso, Castelsantangelo Sul Nera, Preci rimangono fortemente danneggiati dopo le scosse. L’Appennino centrale è nuovamente in ginocchio e i pochi edifici rimasti in piedi dopo il terremoto di agosto crollano rovinosamente. Alla distruzione si aggiunge nuova distruzione. Non ci sono fortunatamente altri morti.

Non basta. Alle 7.40 del 30 ottobre una scossa di magnitudo 6.5 colpisce nuovamente la zona. La città di Norcia subisce grossi danni, nonostante nei mesi precedenti fosse stata lodata per aver resistito alle scosse e decantata come esempio virtuoso di “buona ricostruzione” dopo il terremoto che il 26 settembre 1997 colpì le Marche e l’Umbria. Non hanno resistito le case ricostruite con dispositivi antisismici, né la Basilica di San Benedetto, parzialmente rasa al suolo. Il numero degli sfollati aumenta, da seimila a 40 mila, fortunatamente non quello delle vittime.

All’indomani del terremoto del 30 ottobre il numero delle persone che non hanno potuto far rientro nella propria casa aumenta in modo considerevole e si passa da 4.800 persone assistite da inizio settembre a più di 30 mila nelle prime settimane di novembre.

Il sistema emergenziale è già duramente messo alla prova quando, nella seconda metà di gennaio, una pesante ondata di maltempo, con abbondanti nevicate, colpisce le regioni terremotate di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria. La neve in questi luoghi non è certamente un evento eccezionale. Eppure il sistema dei soccorsi sembra al collasso.

Il 18 gennaio 2017, quattro scosse di magnitudo superiore a 5.0 colpiscono nuovamente le zone del centro Italia, maggiormente le regioni di Lazio e Abruzzo. A qualche ora dalle scosse una slavina travolge l’Hotel Rigopiano, alle pendici del Gran Sasso, in provincia di Pescara. La macchina dei soccorsi anche in questa situazione non parte subito, ma alla fine, dopo otto giorni vengono messi in salvo undici persone. Quelle che invece non ce l’hanno fatta sono 34, di cui 29 a Rigopiano.

Con quasi 50mila sfollati, per rispondere all’emergenza abitativa le autorità offrono quattro soluzioni per assistere la popolazione colpita: secondo i dati della Protezione civile, 38.184 hanno scelto il contributo di autonoma sistemazione (CAS) erogato dai comuni che va dai 600 ai mille euro al mese; 7.782 persone sono state accolte nelle strutture abitative di emergenza (SAE); 1.943 sono state ospitate in strutture recettive (alberghi sulla costa ma anche nella zona montana); 807 nei Mapre (moduli abitativi prefabbricati rurali d’emergenza per gli allevatori), 642 nei moduli container e 486 nelle strutture comunali.

A settembre del 2017 l’incarico di commissario straordinario alla ricostruzione delle aree colpite dal terremoto del centro Italia viene affidato a Paola De Micheli (Partito Democratico) e successivamente, durante il governo Lega e Movimento 5 Stelle, a Piero Farabollini, presidente dell’Ordine dei geologi delle Marche. Una nomina quest’ultima che sembra rompere con la gestione amministrativa, burocratica e politica del disastro, affidandola al rappresentante dei “saperi esperti”, alla sua competenza tecnica e alla sua conoscenza specifica dei territori montani del centro Italia.

A quattro anni dalle scosse, dopo numerosi decreti e ordinanze e dopo diversi commissari, la situazione è ancora fortemente caratterizzata da precarietà: luoghi di una bellezza disarmante sono stati lasciati completamente a loro stessi. Tra le macerie, 2.720.000 tonnellate totali, delle quali sono state raccolte poco più della metà, la natura riprende il suo spazio, colmando il vuoto che il terremoto ha creato.

Cosa dicono i terremotati? La situazione di stallo è tale per cui gli stessi terremotati definiscono il post sisma una situazione di “non-ricostruzione” caratterizzata da una offensiva sordità da parte delle istituzioni. Malgrado le numerose voci dei terremotati riportate negli anni dai media, queste parole sono rimaste inascoltate, riecheggiando tra i luoghi desolati del cratere. Sensazioni di malessere e disagio hanno influito fortemente sui processi di abbandono dei territori.

Vedete amici, gli eventi sismici del 2016 e del 2017 sono intervenuti in questo contesto come degli acceleratori di processi preesistenti, come quello dello spopolamento, della perdita di peso politico-economico dei contesti locali e dello svuotamento in termini di servizi socio-sanitari e assistenziali. Hanno così innescando nuove dinamiche che si legano all’assenza di politiche efficaci in materia di ricostruzione e di risposta ai bisogni sociali. Tali criticità si intersecano nelle fratture dei modelli di sviluppo su cui si è basata la versione marchigiana della Terza Italia, incentrata su distretti produttivi che hanno scontato fortemente il rallentamento economico avviatosi dal 2008.

Per essere efficaci le politiche sulla ricostruzione devono essere valutate, discusse, scelte e costruite insieme ai terremotati, in una partecipazione che sia sensibile alle diverse esigenze e necessità della popolazione. Questa molteplicità di voci ed esperienze deve produrre una cultura che permetta alle persone di avere strumenti e conoscenze che li trovino preparati, restituendogli consapevolezza e dignità. Solo così sarà possibile scongiurare l’ennesima emergenza.

Oggi ancora il Centro Italia è in ginocchio!

Luca Cappelli
 




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