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10/06/2020
Nella scacchiera della politica italiana servirebbe una “mossa del cavallo”
Senza un “pensiero lungo”, che può dare ragione e ragioni al non recludersi nella riproposizione di sé, restano solo i giochi linguistici di un nominalismo d'accatto

La “concordia nazionale” può davvero essere l'antitodo capace di scongiurare che la Nazione faccia la fine della Concordia (quella di capitan Schettino)? In linea teorica sicuramente sì; la faccenda si complica, però, se andiamo alla pratica politica. Tocca distinguere le parole dalle cose, insomma.

Non si può non riconoscere, richiamando le recenti parole del presidente Sergio Mattarella, che “c’è qualcosa che viene prima della politica e che segna il suo limite. Qualcosa che non è disponibile per nessuna maggioranza e per nessuna opposizione: l’unità morale, la condivisione di un unico destino, il sentirsi responsabili l’uno dell’altro. Una generazione con l’altra. Un territorio con l’altro. Un ambiente sociale con l’altro. Tutti parte di una stessa storia. Di uno stesso popolo”.

Nessuno come i corpi intermedi, che quotidianamente esprimono la vitalità dell'Italia profonda, è consapevole della decisività di questo fondamento fatto di relazioni fondanti e indisponibili alla consunzione del calcolo. Ma proprio questa consapevolezza conduce ad avanzare delle riserve su una certa “retorica della concordia”.  Intanto perchè a molti degli attori della politica, tanto di maggioranza quanto di opposizione, sembra potersi associare una celebre immagine di Søren Kierkegaar: “La nave è ormai in preda al cuoco di bordo e ciò che trasmette al microfono del comandante non è più la rotta, ma ciò che mangeremo domani”.

Senza un “pensiero lungo”, che può dare ragione e ragioni al non recludersi nella riproposizione di sé, infatti, restano solo i giochi linguistici di un nominalismo d'accatto. Un “tirare a campare”, per dirla più semplicemente, non reso più nobile dall'invocare altisonanti formule (inversamente proporzionali alla meschina qualità dell'agire).

Ecco che il procedere con la composizione di piani sedicenti palingenetici, quello di Vittorio Colao è già destinato a diventare presto il penultimo di lunga serie, nasconde (e nemmeno troppo bene) la volontà del procrastinarsi per non scomparire. Vale per chi governa e non meno per chi reattivamente per porsi non sa che opporsi.

Nella stabilmente confusa scacchiera della politica italiana servirebbe una “mossa del cavallo”. Quale? Il tentativo d'interpretare la responsabilità non come mera difesa dell'esistente, evitando spericolati “inchini”, a favore o contro qualche potere, per autoattribuirsi lo status di capitano.

Marco Margrita
 




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