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09/06/2020
Fondi europei, l’Italia scelga un mix fra manutenzione e innovazione
Sarebbe tragico se questa grande occasione finanziaria dovesse produrre altri gap sociali, ampliare le disuguaglianze e creare nuovi divari territoriali

C’è un fatto di cronaca che, nella sua drammaticità, testimonia il ritorno alla normalità dopo il lunghissimo lockdown e l’isolamento fra le regioni: l’incidente sull’autostrada del Sole, nei pressi di Arezzo, in cui hanno trovato la morte una bambina di 10 anni, una neonata di 10 mesi e i nonni.  Quattro vittime di un incidente stradale che rientra in quel tragico bollettino quotidiano che non merita le attenzioni di un commissario di governo e che non viene diffuso alle 18 in punto, ogni giorno, come è capitato con il coronavirus.

Dunque, parlare di normalità, richiede serenità e accortezza. La nostra vita, infatti, è costellata di tanti eventi che noi chiamiamo normalità, ma che a ben vedere tali non sono. Come, giusto per fare un altro esempio recentissimo, l’ondata di maltempo che si è abbattuta sulla dorsale appenninica, con il consueto bilancio di crolli e straripamenti dei torrenti, abitazioni invase dalle acque e gente dei piccoli borghi disperata. Per poi spostarsi al Sud e fare altri danni. Il tutto mentre Venezia si ritrovava, nelle stesse ore, a fare i conti con l’ennesima acqua alta fuori stagione che ha raggiunto i 116 centimetri. Perciò, parlare di normalità richiede prudenza e forse una diversa consapevolezza. Soprattutto dopo la celebrazione, il 5 giugno, della Giornata mondiale dell’Ambiente che ci ha ammonito sulla fragilità del nostro ecosistema.

Certamente vi domanderete le ragioni di questa lunga premessa sulla presunta normalità della vita nel nostro Paese. Presunta innanzitutto perché si tratta di una pura convenzione. E’ normale, infatti, l’uso massivo di droghe o il gioco d’azzardo, entrambi pesanti dipendenze che causano profondi disequilibri nella nostra vita sociale? Dunque, proprio in nome di una normalità che come condizione dell’agire umano va profondamente riconsiderata, crediamo sia doveroso riflettere sulla strada da intraprendere per rimettere in moto il Paese. Questione quanto mai attuale nel momento in cui si discute su come investire i 172 miliardi di euro provenienti dai fondi europei.

Ecco, nel nostro piccolo, vorremmo suggerire un criterio di spesa che tenga conto del nostro passato come del nostro futuro. Cioè che sappia porre rimedio ai guasti e ai ritardi accumulati, ma sappia anche investire nell’innovazione. Non è detto, infatti, che la necessità di questo equilibrio sia ben presente nei luoghi decisionali. E poiché è forte il rischio di imbarcarsi in opere faraoniche senza porre riparo ai gravi deficit del passato, dobbiamo provare, nei limiti della nostra responsabilità, a suggerire quanto riteniamo indispensabile. Ecco, è assolutamente opportuno realizzare un mix di interventi che soddisfino due obiettivi fondamentali: la manutenzione del Paese (in particolare del territorio e delle opere pubbliche) oltre che la modernizzazione della sanità, della scuola e dei trasporti. Non è nostro compito indicare le priorità delle nuove opere da realizzare, né tanto meno partecipare alla scrittura di un libro dei sogni. Così come tanti altri italiani abbiamo poca competenza per esprimerci sull’annosa questione del ponte sullo Stretto. Lasciamo pure che altri si dividano su questo tema, ma guai a non considerare altrettanto urgenti gli interventi da realizzare, ad esempio, in Liguria o nell’area dell’Appenino e nelle zone interne e costiere del Paese. Su queste scelte si misura la capacità di preservare non solo l’equilibrio ambientale, ma anche la distribuzione equa delle risorse sul territorio. Che, nel caso delle infrastrutture, non può non avere un occhio di riguardo per il Sud.

Ma poi invitiamo il Parlamento e le forze politiche a privilegiare scelte di spesa che abbiano un impatto profondo sulle persone e non producano ulteriore assistenzialismo. Il che significa, innanzitutto, perseguire la crescita progressiva del capitale umano, unico fattore strategico che assicura la possibilità di sviluppo duraturo per il Paese. Quindi, sanare il profondo gap educativo che ci vede agli ultimi posti in Europa, in particolare nel settore dell’istruzione tecnica e per numero di laureati. Dall’inversione di questo trend capiremo se quel mix fra manutenzione e innovazione avrà avuto successo. Sarebbe tragico, infatti, se questa grande occasione finanziaria dovesse produrre altri gap sociali, ampliare le disuguaglianze e creare nuovi divari territoriali. Gli italiani, duramente provati dalla pandemia, certamente non lo meritano. 

Domenico Delle Foglie




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