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08/06/2020
Lo smart working
Mettere al centro la persona la rende più consapevole, più creativa, più soddisfatta e le permette di sviluppare le proprie capacità al meglio

I temi della conciliazione vita-lavoro, il risparmio organizzativo e l’impatto ambientale si intrecciano tra di loro, ma non si adattano per forza a tutti gli ambienti organizzativi: per questo, l’ente che promuove lo smart working deve analizzare la propria struttura e pensare se e come sfruttare le opportunità in termini di riorganizzazione dei processi, degli spazi e dei tempi lavorativi.  Alla base del lavoro agile c’è la continua interazione tra responsabile, team e singolo lavoratore. Quanto più il responsabile è coinvolto, quanta più fiducia viene data ai lavoratori agili, tanto maggiore è la percezione di benessere lavorativo. Si tratta di una scelta consapevole e allo stesso tempo coraggiosa: l’amministrazione del futuro deve saper delegare, offrire opportunità sulla base del merito e saper far emergere i talenti delle persone. Solo in questa direzione, attraverso una governance consapevole e resistente ai pregiudizi, si assisterà al consolidamento delle forme di lavoro agile anche in ambito pubblico. Dico subito che il telelavoro è un tema complesso, controverso, con grandi ombre e grandi luci e ovviamente, non è una novità. Ma oggi ci sono almeno tre novità che ne cambiano completamente le caratteristiche.

La prima. In passato, cioè prima del lockdown, il telelavoro era in sostanza una concessione da parte dell’azienda al personale, in genere femminile, che aveva qualche difficoltà temporanea a lavorare in ufficio. Durante il lockdown invece è diventato una necessità -  soprattutto per le aziende (quando parlo di aziende mi riferisco anche agli enti della P.A.) per poter andare avanti con il lavoro. Quindi da concessione a necessità. Un bel salto! Inoltre si è passati dai 570 mila in telelavoro prima della pandemia Covid (stime del Politecnico di Milano), agli 8 milioni con il lockdown. Il tutto nel giro di appena qualche settimana. La cifra mi pare eccessiva, se pensate che in Italia gli occupati sono 23,4 milioni di persone. Si tratterebbe di un terzo di tutti gli occupati. Un po’ troppi, ma anche se fossero decisamente meno, sarebbero tantissimi. Quindi da fenomeno marginale, il telelavoro è diventato un fenomeno molto consistente.
La seconda. Oggi si parla indifferentemente di lavoro da casa o smart working. In realtà sono due cose ben differenti: un conto infatti è fare da casa quello che normalmente si faceva in ufficio (questo è il lavoro da casa). Questo tipo di lavoro è in genere puramente segretariale, o gestionale ed amministrativo.

La figura di chi fa lo smart working viene ad essere quasi quella di un consulente o fornitore dell’azienda. Ma con una fondamentale differenza. Il consulente o il fornitore non ha un rapporto organico con il suo datore di lavoro. È infatti una così detta Partita Iva. Chi fa lo smart working invece rimane un dipendente dell’azienda a pieno titolo e ne conserva i diritti quali quelli delle ferie, dell’assicurazione malattie ed infortuni e così via. Mi sembra però che ci sia un problema: come retribuire equamente il suo lavoro? Ma come si fa? Con il solo stipendio? Con una retribuzione oraria? L’azienda ha pensato che per fare il lavoro affidatogli occorrono 100 ore. Ma se lui fosse bravissimo e lo fa in 60 ore? O se invece gliene occorrono 120 e deve lavorare di notte per stare nei tempi stabiliti? E gli straordinari?

La terza caratteristica è che il telelavoro (espressione che contiene tutte e due le tipologie: lavoro da casa e smart working) sta piacendo, tanto che lo si vorrebbe considerare permanente. Piace alle aziende sia perché libera degli spazi (ora questo è essenziale per mantenere distanze di “sicurezza”), sia perché si è scoperto che col telelavoro i dipendenti sembrano essere più produttivi. E piace anche a molti dipendenti per la flessibilità, e perché permette di lavorare efficacemente per obiettivi. Secondo un'indagine di Nomisma, anche quando torneremo alla "normalità", il 56% del personale vorrà continuare con il telelavoro. Nella Pubblica amministrazione la quota dovrebbe mantenersi tra il 30 e il 40%.

Sui media si è scatenato un peana: mobilità ridotta, tempi casa lavoro annullati, traffico molto diminuito e mezzi pubblici molto meno affollati con posti meglio distanziati, aria più pulita. Tutto vero, ma ci sono anche degli aspetti decisamente problematici che non possono essere trascurati. Innanzi tutto i rischi: assumere una persona che vive a centinaia di chilometri dalla sede di lavoro potrebbe diventare la norma. Ma i chilometri potrebbero anche essere migliaia. Cioè l’azienda invece che de-localizzare all’estero la produzione, potrebbe de-localizzare semplicemente buona parte del lavoro impiegatizio, magari in Bangladesh, a costi del Bangladesh. E la lingua, coi mezzi di traduzione che ci sono, non è più un ostacolo.

Inoltre, vengono dati in telelavoro, specie nel lavoro da casa, lavori amministrativi e gestionali che presto o tardi potrebbero essere svolti esclusivamente dai computer. Bisogna che chi li svolga adesso ne prenda atto e si prepari di conseguenza.

E poi vi è una serie di aspetti quali quelli psicosomatici: emergono problemi di stress e di affaticamento, in Italia come in tutti gli altri Paesi in lockdown. Da uno studio realizzato in Gran Bretagna è emerso che la schiena inizia a far male, la dieta peggiora, si beve di più (alcool), le preoccupazioni aumentano e si fatica a prendere sonno.

Orario di lavoro: dagli Usa arriva una ricerca che dice che “Da remoto, l'orario di lavoro si allunga di 3 ore". Questo certamente alle aziende non dispiace e quindi servono regole chiare su modi e orari, altrimenti si rischia di lavorare sempre, o comunque di dover dare sempre la reperibilità. Chiunque abbia fatto anche un briciolo di telelavoro sa benissimo che si fa fatica a tenere separate la sfera privata da quella professionale. Si lavora la sera o addirittura la notte. Spesso bisogna lavorare durante il weekend. L’orario di lavoro, un diritto acquisito quasi 150 anni fa, oggi potrebbe essere se non soppresso per lo meno appannato! E poi c’è anche il problema degli straordinari. Chi può dire che invece di otto ore ne ha lavorato dieci? Comunque, in Italia nel 2017 la politica ha partorito una legge ad hoc ribadita dal decreto del 17 marzo scorso, sul telelavoro e Landini della CGIL sta proponendo un contratto nazionale quadro per regolamentare la materia. L’enorme obiettiva difficoltà per le signore a combinare la gestione della casa ed il telelavoro, inoltre, se i figli sono ancora in casa, occorrerebbe una stanza o almeno uno spazio da dedicare al telelavoro. Ed è ben difficile che ci sia questo spazio nelle nostre case, in genere piccole, poi c'è un 71% che lavorando a casa soffre nell'avere meno occasioni di confronto e di scambio con i colleghi.  Ridurre le distanze, dialogare, socializzare è importante per star bene, per stimolare la creatività e produrre idee anche sul lavoro; gli open space della Silicon Valley e dintorni ci hanno insegnato quanto sia importante l'incontro fra le persone. Secondo una tesi del prof. Tiraboschi “lo smart working è basato sugli obiettivi e non sugli orari, richiede molta formazione e comporta un salto culturale: dal Novecento industriale in cui il dipendente vendeva all’imprenditore ore di lavoro a un mercato delle competenze, delle professionalità e dei risultati”. La legge del 2017 da questo punto di vista è nata vecchia perché “si applica solo al lavoro dipendente e non a quello autonomo”. Ma per riscriverla occorre cautela: “Se prima non si ripensa il welfare, compresa la parte per la conciliazione vita-lavoro, rischia di ritorcersi contro il lavoratore”.

La Cisl, dal canto suo ribadisce che “occorrono misure immediate e generalizzate di sostegno al reddito, in quanto su di essi non deve ricadere alcuna perdita di retribuzione, né la costrizione ad utilizzare giornate di ferie o malattia”. Infine, "Sarebbe efficace individuare uno strumento specifico di Cassa integrazione in deroga, finanziato con risorse dedicate e adeguate, rivolto a tutti i datori di lavoro (aziende, enti, scuole private, etc), indipendentemente dai limiti dimensionali e a tutti i lavoratori, a prescindere dalla tipologia contrattuale. Per i lavoratori autonomi (collaboratori, partite Iva) andrebbe prevista una indennità in cifra fissa. Va poi individuata una modalità di tutela del reddito, anche per i lavoratori delle amministrazioni pubbliche, ai diversi livelli".

In conclusione, bisogna evitare che si ritorni ad una concezione fordista del lavoro tipo catena di montaggio, come ben detto dai Vescovi nella loro lettera del 4 Aprile, che ci hanno ricordato che tra le caratteristiche che il lavoro deve avere c’è la creatività e la partecipazione. Mettere al centro la persona, la rende molto più consapevole, più creativa, più soddisfatta e le permette e la spinge a sviluppare le proprie capacità al meglio. In una parola la rende più produttiva. Mettere al centro la persona non è perbenismo o moralismo, ma è semplicemente meglio, più utile.

Gilberto Minghetti
 




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