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26/05/2020
L’Unione Europea ai tempi del covid-19
L’UE avrà un futuro se in risposta allo shock negativo del covid-19 riuscirà a compiere degli ulteriori passi in avanti

Nonostante le riforme significative degli ultimi due decenni, l'Eurozona rimane divisa, sia a livello politico che finanziario. Questa volta ci occuperemo dei progressi compiuti verso il completamento dell'Unione monetaria ed evidenzieremo i passi che andrebbero compiuti per un suo maggiore rafforzamento. Come riferimento utilizzeremo gli Usa che come è noto sono una unione di Stati che hanno in comune la valuta (il dollaro) e la politica monetaria e fiscale ed altri meccanismi che l’Eurozona potrebbe adottare. L'Eurozona rispetto agli Stati Uniti è ancora indietro in termini di condivisione del rischio, di unione bancaria e dei mercati dei capitali, di mobilità del lavoro e di politica fiscale comune.

La crisi generata dal covid-19 è una dura prova per l'Eurozona, che dovrebbe essere affrontata con rinnovati appelli alla solidarietà e ad una maggiore integrazione. Quando si decise di creare una valuta comune, i leader europei più illuminati erano convinti che, con l'avvento delle tensioni, gli Stati membri avrebbero scelto di formare un'unione più stretta, integrando le loro economie ed i sistemi finanziari: condividendo oneri e rischi. In larga misura, l'esperienza ha confermato queste speranze. Ma negli ultimi anni questo processo è rallentato. Pertanto politicamente e finanziariamente, l'area dell’Eurozona rimane ancora divisa. La pandemia covid-19 porta nuove tensioni causando grandi dislocazioni economiche e finanziarie all’interno dell’Eurozona. Mentre è aumentata nel corso dei due decenni di unione monetaria, la condivisione del rischio tra gli Stati membri dell'Eurozona questa rimane ben al di sotto di quella che si ha negli Stati Uniti. I progressi riflettono le speranze della generazione dei Kohl e dei Mitterand, ma i divari rendono ancora vulnerabile l'unione monetaria europea. La condivisione del rischio è la semplice idea che tutti i Paesi insieme debbano condividere gli effetti negativi di uno shock che colpisce in maniera asimmetrica i singoli Paesi. In assenza di una condivisione del rischio, le perdite di consumo e di investimenti saranno sostenute esclusivamente da coloro che appartengono a quei settori che sono direttamente colpiti dallo shock nei Paesi più colpiti. Il livellamento dei consumi e degli investimenti può avvenire sia attraverso meccanismi pubblici che privati.

Negli Stati Uniti, i trasferimenti fiscali federali, che riflettono gli stabilizzatori automatici, compresa la tassazione progressiva del reddito e l'assicurazione contro la disoccupazione, assorbono circa il 10-15% degli shock specifici che colpiscono un singolo Stato. Nell'Eurozona, invece, prima della crisi finanziaria europea del 2010-2012, praticamente tutto il livellamento è avvenuto attraverso i canali privati. Da allora però, l'assistenza finanziaria ufficiale diretta esplicitamente alla condivisione dei rischi tra i Paesi del centro e periferici dell'Eurozona è cresciuta notevolmente. Tuttavia, non esiste ancora una politica fiscale comune per fornire trasferimenti automatici o discrezionali in tutta l'Eurozona: in risposta agli shock che colpiscono i singoli Stati. Altro tratto distintivo è che l'assistenza finanziaria ufficiale si presenta solo sotto forma di prestiti (il Meccanismo Europeo di Stabilità creato nel 2012, i prestiti della BEI e quelli che si stanno predisponendo: il SURE ed il Recovery Fund). Non dimenticando che tali prestiti si vanno ad aggiungere a quelli che i singoli Stati attivano attraverso l’emissione di debito pubblico sovrano. Nel caso che la maggior parte della condivisione del rischio transfrontaliero in un'unione monetaria avvenga attraverso il canale privato, la solidità del sistema finanziario è di fondamentale importanza per la sostenibilità.

Questo ci porta dritti alla questione finanziaria: l'integrazione finanziaria in un'unione monetaria, dove il credito ed il capitale possano muoversi liberamente tra i confini dei singoli Stati, dipende dall’esistenza di una unione finanziaria. Altrimenti, gli shock che colpiscono i singoli Paesi potrebbero portare gli investitori a dubitare che l’euro abbia lo stesso valore nei singoli Stati. I timori, ad esempio, che un euro in una banca italiana o spagnola possa valere meno di uno in una banca tedesca o olandese potrà indurre i depositanti a spostare i fondi oltre i confini nazionali: frammentando il sistema finanziario. Come si potrebbe ovviare a ciò? Visto che il sistema finanziario europeo è bancocentrico è necessaria un'unione bancaria, che implichi una regolamentazione e vigilanza comuni, un meccanismo di risoluzione comune ed un sistema comune di assicurazione dei depositi. Quando la crisi dell'Eurozona ha raggiunto l’apice nel 2012, nessuno di questi elementi era in funzione. Non sorprende pertanto che abbiamo assistito ad una crisi delle banche periferiche (in particolare di Italia e Spagna). Da questi accadimenti, come auspicato dai sostenitori dell'euro, la crisi del 2012 ha spinto verso l’attuazione di alcune riforme. Di conseguenza a partire dal 2014, il meccanismo di vigilanza unico ha autorizzato la BCE a vigilare su tutte le banche nell'Eurozona ed a stabilire requisiti patrimoniali per rendere le banche europee più solide. In pratica, la BCE vigila direttamente su oltre 100 banche che detengono oltre l'80% delle attività del sistema bancario. Quattro problematiche però restano ancora aperte: 1) le maggiori banche dell'Eurozona rimangono significativamente sottocapitalizzate rispetto a quelle statunitensi; 2) non esiste ancora un sistema comune di assicurazione dei depositi; 3) i mercati dei capitali dell'Eurozona rimangono fortemente frammentati, con solo pochi mercati nazionali ampi e liquidi; e 4) a differenza degli Stati Uniti, non vi sono attività veramente sicure oltre alle riserve dell'Eurosistema. In tale contesto, i regolamenti e le pratiche dell'Eurozona, come ad esempio la parità di trattamento di tutto il debito sovrano nel calcolo dei requisiti patrimoniali, incoraggiano le banche a continuare a detenere principalmente il debito emesso dal loro Paese d'origine.

Oltre a risolvere queste problematiche ci sarebbe un altro passo da compiere, per consentire all’Eurozona di assorbire al meglio gli shock che la colpiscono: l’aumento della mobilità della forza lavoro al suo interno. Quando in un Paese europeo la disoccupazione cresce più velocemente, la possibilità offerta alle persone di spostarsi per trovare lavoro nelle zone meno colpite dalla crisi contribuisce ad alleviare gli effetti negativi della perdita di occupazione. Pertanto, la mobilità del lavoro è ancora un’altra modalità efficace per condividere gli shock e per superarli più rapidamente. Per facilitare la mobilità transfrontaliera del lavoro, esistono meccanismi come il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale. Inoltre, sembra che la mobilità transfrontaliera sia aumentata nel tempo. Tuttavia, le persone sono sostanzialmente meno mobili in Europa rispetto agli Stati Uniti. In proposito le stime ci dicono che mentre l'8% della popolazione di uno Stato degli Usa decide di spostarsi in seguito ad una diminuzione dell'occupazione del 10%, nell’Eurozona solo un 2% delle persone sarebbe disposto a lasciare la propria nazione all'indomani di un aumento della disoccupazione della stessa portata. Pertanto, gli shock portano ad una più ampia e persistente dispersione della disoccupazione nell'Eurozona rispetto agli Stati Uniti.

Insomma l’Unione Europea avrà un futuro, se in risposta allo shock negativo del covid-19, riuscirà a compiere degli ulteriori passi in avanti verso una politica fiscale comune, una maggiore condivisione del rischio, un rafforzamento dell’unione bancaria e dei mercati dei capitali, ed una maggiore mobilità del lavoro al suo interno. Altrimenti si rafforzeranno nei singoli Stati le forze sovraniste che punteranno ad una sua disgregazione.

Marco Boleo




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