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18/05/2020
Centenario della nascita di Karol Wojtyla
Nessuno meglio di Giovanni Paolo II ha saputo precisare il significato etico del lavoro, gli dobbiamo la riconoscenza di avere messo davanti agli occhi del mondo questa verità

È stato un Papa che fin dalla sua prima apparizione è parso diverso da tutti i suoi predecessori; un Papa che ha messo al centro della sua testimonianza il suo corpo di uomo: dallo sport alla malattia. È Giovanni Paolo II, la straordinaria figura del Santo Padre, che ha fondato il suo pontificato sullo stretto rapporto con la gente e con i bambini, esponendosi sempre tanto fino a subire un gravissimo attentato. La sua fede in una missione portata avanti anche nella malattia che lo ha condotto alla morte quel 2 aprile 2005.

Quante volte nei convegni del MCL (e non solo) si è parlato di lavoro - dalle encicliche sociali alla festa del primo maggio - con citazioni dei passaggi determinanti del suo splendido e ricco ministero, primo fra tutti l’affermazione che a lui stava particolarmente a cuore che rimetteva il lavoro al centro della vita sociale, considerandolo sì un dovere e un diritto, ma anche e soprattutto un bene.

Ciò, senza dimenticare quel 1981, l’anno in cui il Santo Padre fece visita alla sede nazionale del MCL, incontro che volle sottolineare l’amicizia e il ruolo del Movimento nella Chiesa e nella società; dalle sue parole uscirono varie sottolineature ma, soprattutto, il riconoscimento dell’impegno nel lavoro come cristiani: visibile, permanente e qualificato ad incarnare la Chiesa nel mondo contemporaneo e ad animarne le strutture tutte. Da quello storico colloquio, attraverso la rilettura approfondita e commentata, si poteva comprendere come abbia influito sul pensiero degli economisti e dei politici in tutto il mondo, proprio per aver enfatizzato gli aspetti che superano diritti, problemi e condizioni di lavoro. Ma ci piace proporne qualche nota che sicuramente può diventare spunto anche di una riflessione personale

Nella Parola della divina Rivelazione è iscritta molto profondamente questa verità fondamentale, che l'uomo, creato a immagine di Dio, mediante il suo lavoro partecipa all'opera del Creatore, in un certo senso, continua a svilupparla e la completa, avanzando sempre più nella scoperta delle risorse e dei valori racchiusi in tutto quanto il creato.
Gli uomini, che per procurarsi il sostentamento per sé e per la famiglia, esercitano le proprie attività così da prestare anche conveniente servizio alla società, possono a buon diritto ritenere che col loro lavoro si rendono utili ai propri fratelli e danno un contributo personale alla realizzazione del piano provvidenziale di Dio nella storia.

Con la realizzazione della giustizia sociale nelle varie parti del mondo, nei vari Paesi e nei rapporti tra di loro, sono necessari sempre nuovi movimenti di solidarietà degli uomini del lavoro e di solidarietà con gli uomini del lavoro.
Il MCL ha sempre condiviso la solidarietà, sempre presente là dove lo richiedono il degrado sociale del soggetto del lavoro, lo sfruttamento dei lavoratori e le crescenti fasce di miseria e addirittura di fame.

San Giovanni Paolo II ha impegnato con il suo messaggio tutta la Chiesa in questa causa, perché la considerava come sua missione, suo servizio, come verifica della sua fedeltà a Cristo, onde essere veramente la «Chiesa dei poveri».
Sempre attuale la sua lettura sui «poveri» che compaiono sotto diverse specie; compaiono in diversi posti e in diversi momenti; compaiono in molti casi come risultato della violazione della dignità del lavoro umano: sia perché vengono limitate le possibilità del lavoro - cioè per la piaga della disoccupazione -, sia perché vengono svalutati il lavoro ed i diritti che da esso scaturiscono, specialmente il diritto al giusto salario, alla sicurezza della persona, del lavoratore e della sua famiglia.

Quella fatica, a volte pesante, che da sempre accompagna il lavoro umano, però, non cambia il fatto che esso è la via con la quale l'uomo realizza il «dominio», che gli è proprio, sul mondo visibile «soggiogando» la terra. Questa fatica è un fatto universalmente conosciuto, perché universalmente sperimentato. Lo sanno gli uomini del lavoro manuale, svolto talora in condizioni eccezionalmente gravose. Lo sanno non solo gli agricoltori, che consumano lunghe giornate nel coltivare la terra, che a volte «produce pruni e spine», ma anche i minatori nelle miniere o nelle cave di pietra, i siderurgici accanto ai loro altiforni, gli uomini che lavorano nei cantieri edili e nel settore delle costruzioni in frequente pericolo di vita o di invalidità. Lo sanno, al tempo stesso, gli uomini legati al banco del lavoro intellettuale, lo sanno gli scienziati, lo sanno gli uomini sui quali grava la grande responsabilità di decisioni destinate ad avere vasta rilevanza sociale. Lo sanno i medici e gli infermieri, che vigilano giorno e notte accanto ai malati. Lo sanno le donne che, talora senza adeguato riconoscimento da parte della società e degli stessi familiari, portano ogni giorno la fatica e la responsabilità della casa e dell'educazione dei figli. Lo sanno tutti gli uomini del lavoro e, poiché è vero che il lavoro è una vocazione universale, lo sanno tutti gli uomini.

Il MCL ha celebrato un suo Congresso Nazionale nel 2005 intitolandolo “il lavoro, chiave essenziale”, testimoniando la lettura storica che il lavoro è un bene dell'uomo, non solo un bene «utile» o «da fruire», ma un bene «degno», cioè corrispondente alla dignità dell'uomo, un bene che esprime questa dignità e la accresce.

Nessuno meglio di Karol Wojtyla ha saputo precisare il significato etico del lavoro, gli dobbiamo la riconoscenza di avere messo davanti agli occhi del mondo prima di tutto questa verità. Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma realizza anche se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo».  Memorabile il discorso ai lavoratori nell’occasione del Giubileo del 2000.

“Carissimi lavoratori, illumina questo nostro incontro la figura di Giuseppe di Nazaret, la sua statura spirituale e morale, tanto più alta quanto più umile e discreta. In lui si realizza la promessa del Salmo: ‘Beato l'uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie. Vivrai del lavoro delle tue mani, sarai felice e godrai d'ogni bene... Così sarà benedetto l'uomo che teme il Signore’” (127,1-2).

Questa è la vera sorgente della benedizione per ogni uomo, per ogni famiglia e per ogni nazione.

La condizione è quindi che ogni soggetto - anche il MCL - non può, e non deve, lasciar fuori dal dialogo pubblico ciò che definisce la sua identità propria: l’amore di sé è, secondo il Vangelo e la retta ragione, la misura dell’amore del prossimo. Da una laicità che pretende di azzerare o mettere fra parentesi le identità occorre passare ad una laicità che ha nel riconoscimento il suo valore, e di questo San Giovanni Paolo II è stato il grande custode.

Gilberto Minghetti
 




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