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15/05/2020
Un problema di libertà
Invece di invocare un astratto rispetto delle regole, sarebbe meglio appellarsi alla responsabilità delle persone che sono chiamate a contribuire al bene della comunità

È stato qualcosa di più di un semplice scivolone, quello del sindaco di Roma Virginia Raggi che, parlando della Fase 2, ha affermato che “[la riapertura dei parchi] è una concessione che ci viene fatta dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ma dobbiamo meritarcela e per meritarcela dobbiamo mantenere il rispetto di queste regole”.

Il sindaco Raggi ha semplicemente esplicitato la visione che sottende i provvedimenti di questi ultimi mesi nei quali sembra che la libertà sia un nemico del bene delle persone, del bene della comunità, che sia una minaccia alla salute di tutti noi. Una rivoluzione, che è più un'involuzione, di quei principi che festeggiamo il 25 aprile e il 2 giugno, di quei principi che sono alla base della nostra democrazia. Ciò che stupisce non è tanto che ci sia qualcuno che porti avanti questa visione, quanto piuttosto la velocità con la quale è stata accettata da molti. È certamente vero che la pandemia è un pericolo reale e che va affrontata con saggezza e prudenza, mettendo dei limiti ad alcune delle nostre libertà e facendo rispettare alcune regole, ma questo non può essere fatto con la faciloneria con la quale avviene oggi. La paura, oltre ad essere una pessima consigliera, non può coartare un sistema democratico, perché abbiamo avuto fin troppi esempi, vicini a noi sia nel tempo che nello spazio, di cosa accade quando la paura viene usata come leva politica.

Il desiderio di passeggiare al parco non risponde solo ad una necessità fisica, ma alla necessità di sottrarsi a questo vivere asfittico. Dovremmo ricordarci la lezione di Franklin Delano Roosevelt che, all'indomani dell'attacco di Pearl Harbor, disse che una delle fondamentali libertà è la libertà dalla paura. E assieme ad essa metteva la libertà religiosa, che ha recentemente vissuto giorni oscuri quando il perdurare delle restrizioni delle celebrazioni liturgiche l’ha messa a rischio. Nessuno ha mai messo in dubbio che le celebrazioni liturgiche dovessero rispettare dei criteri di prudenza, ma abbiamo assistito a fatti decisamente inquietanti. Minacciare la libertà religiosa significa minacciare tutte le altre libertà, significa mettere a repentaglio la vita democratica del Paese. Ritenere che fosse un problema solo per qualcuno, magari fanatico, con il pallino delle cose religiose, la dice lunga di quanto ormai siamo incapaci di vedere il bene di tutti e di ciascuno.

Stessa cosa vale per la libertà di educazione, che per molti non dovrebbe neppure esistere, minacciata, anzi, asfaltata (per usare un termine tanto di moda) dall'indifferenza, piena di astio e di rancore, dei provvedimenti del governo sulle scuole paritarie. Sembra che ci sia un atteggiamento punitivo nei confronti della scuola pubblica non statale che mette a rischio 100.000 posti di lavoro nelle 13.000 scuole paritarie italiane con 866.000 alunni e che permette allo Stato italiano di risparmiare 5 miliardi l’anno. Questi due esempi piuttosto significativi sulla libertà religiosa e sulla libertà educativa, ci dovrebbero aiutare a capire che bisognerebbe ribaltare la visione, il modello culturale, ossia tornare ad affermare la centralità della persona e non delle istituzioni.

Invece di invocare un astratto rispetto delle regole, sarebbe meglio appellarsi alla responsabilità delle persone che sono chiamate, tutte, a contribuire al bene della comunità. Altrimenti non rimedieremo più ai danni causati dalla pandemia.

Giovanni Gut




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