La commozione dei Popolari, ma anche l'orgoglio, la voglia di continuare una storia. La stessa storia di Aldo Moro. Si potrebbe sintetizzare così nel clima di queste giornate che risentono la fatica dopo la parentesi della pandemia che ci ha colpiti, chiusi in casa e senza relazioni esterne.
La ripresa delle attività lavorative, la nostra odierna fase 2, ancora ridotta, ma in cui comunque tutto acquista il sapore della evoluzione sul lato partecipativo superando l’immobilismo, che impedisce di combattere le sfide, cercando la verità. Poter raccontare una storia ai nostri giovani, una biografia di un moderato capace con il suo intuito di interpretare il cambiamento (quel vino nuovo in otri nuovi…).
Siamo a sottolinearlo oggi 42 anni dopo la strage di via Fani conclusa con la morte di Moro, il presidente della DC assassinato dalle BR, per ricordare, discutere e interrogarci sul futuro possibile del cattolicesimo popolare. Non possiamo tuttavia nascondere sullo sfondo l’emozione ancora viva, il dolore per un dramma che ha segnato la vicenda, non solo politica del Paese. Il ricordo non rituale, non formale dei cinque uomini della scorta, ma anche la memoria delle altre vittime della violenza del terrorismo, non può lasciare tutto come prima.
Inoltre, la convinzione che la testimonianza politica di Aldo Moro non può essere circoscritta al “caso Moro". Fare politica insieme vuol dire anche fare memoria insieme. Interrogarsi, ricercare le risposte.
Cosa rimane di Moro, della sua memoria all’inizio di questo quarto decennio? Ognuno potrà mettere il suo tassello in una riflessione di alto profilo. Ricordi personali, aneddoti, esperienze; riletture del pensiero moroteo, la sua lezione è ancora viva.
Cosa ci è rimasto allora di quello statista definito l’uomo del dialogo? La cosa essenziale, cioè il modo di intendere e di vivere la politica. Non si tratta ovviamente di riproporre schematicamente modelli che caratterizzarono stagioni politiche diverse. Ma si può rintracciare anche con buon senso e fiducia nella politica di oggi quel seme che fu gettato. Una strategia dell’attenzione che è l’esatto contrario di concezioni conservatrici, con l'obiettivo di definire nuove opportunità nella società, con la stagione delle riforme. Riforme che per lui erano una necessità, non solo di natura politica: immutabilità avrebbe significato, diceva, "compiere una rinuncia, la rinuncia a una splendida funzione che passerebbe ad altri, comportando anche il venir meno di una ispirazione cristiana”.
Individuare una politica che si alimenta di valori profondi, radicati nella cultura del popolarismo, che valorizza l’identità, l'ispirazione cristiana; che non rinuncia ad essere punto di riferimento, guida.
Sono concetti che sono stati ripetuti spesso: l’intelligenza nella lettura degli avvenimenti, la comprensione dei tempi nuovi, l'attenzione a quello che viene prima della politica, ma che non può essere disgiunto da questa, l’intuizione della necessità di allargare il perimetro democratico attraverso la strategia di un confronto serrato.
Il dialogo competitivo tra le grandi culture popolari del Paese, ma non solo, in particolare l’interesse per i giovani, per il loro disagio, per i fermenti che agitavano la società italiana degli anni ‘60/’70 e che Moro, da professore universitario, seppe cogliere preziosamente e custodire.
Tuttavia, Moro seppe cogliere, attraverso la ricerca di un nuovo protagonismo anche delle donne, dei nuovi soggetti sociali, l’emergere di nuovi diritti che dovevano essere bilanciati da un nuovo senso del dovere. Ma tutto questo serve ancora all'Italia, anche se i contesti, i problemi e il tessuto sociale sono cambiati?
Non lo si può dimenticare se oggi lo vogliamo inserire in un ragionamento su un doppio binario: della discontinuità e della novità. Ovvero il laboratorio e il progetto in cui si fondono l’incontro con le culture diverse, che su questa diversità fonda poi la sua ricchezza, mai la rinuncia. Anche qui, in questo disegno ritroviamo Moro. Quando oggi sentiamo dire di rilanciare nuovi modelli di partito (allora era destra e centro-sinistra) senza un pensiero volto a non incrinare quelle alleanze, con lo sguardo rivolto all’Europa, con quelli che avrebbero capito di andare oltre le formule tradizionali, oltre i limiti di culture politiche vecchie.
Senza per nulla rinunciare, anzi arricchendo i suoi “orientamenti di fondo: la liberazione dell'uomo dai bisogni, dall’emarginazione, dalle insicurezze”. Un'impostazione che lo ispirò anche nel dialogo con il Partito comunista, nella stagione della solidarietà nazionale. Su questo va ricordato un suo celebre intervento che spiega il valore di questo dialogo così controverso: «Quello che voi siete - disse - noi abbiamo contribuito a farvi essere e quello che noi siamo, voi avete contribuito a farci essere».
Accanto alla discontinuità, con il suo positivo contenuto, torna, come un dovere imprescindibile, la consapevolezza di dover salvare la parte più importante di una storia. Una storia che non può essere stravolta, infangata, raccontata con una sorta di grande ricatto. Non è mai una contraddizione, ma il segno di una fedeltà; senza la quale non sarebbe stato possibile costruire una democrazia salda. E senza la quale non sarebbe possibile, allora come oggi, l’impegno in politica dei cattolici popolari.
Gilberto Minghetti