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06/05/2020
Progettiamo un Paese nuovo
L’Italia può approfittare di questo tempo prezioso per migliorarsi

Siamo in guerra con un nemico oscuro. Questo ci è stato detto tutti i giorni da politici esperti e pseudo esperti.
Ma l’innegabile emergenza sanitaria ha di fatto ridotto il dibattito politico facendolo divenire asfittico e riducendolo ad un’inutile anzi dannosa diatriba tra le diverse parti politiche.

Eppure è evidente che questo è il momento di pensare al dopo, alla ripartenza a un ripensamento di priorità, alla necessità del Paese di essere ripensato, riprogrammato.

Perché pensare al dopo da questo punto di vista non può essere fatto dopo, perché sarà troppo tardi, ma deve essere fatto subito. Vasto programma si direbbe, anche perché non si vedono forze adeguate che si siano attivate in questa direzione.

Sono ormai molte settimane che siamo chiusi in casa, e abbiamo ascoltato i numeri, abbiamo visto le fosse comuni, abbiamo assistito all’esplosione dell’incompetenza di un popolo che (privato del calcio di cui sono tutti esperti) si è trasformato in un popolo di virologi-epidemiologi-tuttologi, sparando e accettando cavolate su cavolate proprio su tutto, confermando che l’analfabetismo e l’ignoranza sono più contagiosi della peste.

Ma delle necessità che il nostro Paese ha urgenza di calendarizzare ancora non parla nessuno.

Ed invece, questo momento in cui siamo stati costretti a fermarci poteva essere ben sfruttato per riflettere, oltre che sulle emergenze pressanti del presente anche sul futuro di un Paese che ha bisogno non solo di ripartire economicamente.

E quindi le fasi due e tre oltre a delimitare e stabilire comportamenti umani e regole da seguire per la convivenza con il virus forse potevano, o potranno comprendere, anche una serie di linee guida per la ripartenza di un Paese più moderno e competitivo oltre a soluzioni più o meno efficaci per uscire dall’angolo.

Il virus qualche lezione l’ha impartita a tutti noi, ma l’Italia ha bisogno di altro, di molto altro.

Finita la fase emergenziale, bisognerebbe procedere con ordine, in primo luogo va ripensata la società, una società basata sul rispetto del prossimo primo gradino per giungere ad una società davvero solidale che non può nascere dalle macerie post pandemiche di un mondo globalizzato a vantaggio di pochi e a spese della natura e dei miliardi di uomini, distrutti dalla finanziarizzazione dell’economia mondiale.

Bisognerà restituire la natura ai suoi spazi e alle sue leggi, avviare nuovi modelli di sviluppo che, a partire dall’utilizzo delle energie rinnovabili, producano circoli virtuosi di consumo delle risorse del pianeta. In queste società di uomini uguali, la salute sarà tutelata dal vivere in ambienti ecosostenibili, nei quali il benessere collettivo sarà interesse di tutti, non solo dei singoli. La solidarietà consentirà di affrontare collettivamente problemi complessi, portando progresso alle genti e non solo sviluppo, la coesione sociale può passare solo da questi temi. Negli anni del dopo Covid l’uomo ha solo questa possibilità, dimostrando di aver compreso cosa veramente ha portato alla peste del Ventunesimo secolo.

Ma il ripensamento del nostro Paese deve assolutamente comprendere tre temi fondamentali: il lavoro, la scuola ed il Sud.

Il tema lavoro comprende il lavoro che c’è e quello che manca, il lavoro praticato e quello ascoltato, le inquietudini che lo accompagnano e le molteplici responsabilità che richiama coinvolgendo molti. Più di una generazione. E sono molti anche gli interrogativi che questo tema porta con sè: dobbiamo interrogarci sul senso del lavoro (che per noi del MCL è chiaro ma per la classe politica, o parte di essa, no) su cosa si sta facendo e su cosa si sta omettendo, insomma sulla direzione e sul punto di arrivo.

Gli interrogativi sono tanti, tutti di spessore e tutti fondamentali, ma di più, fanno tutti appello alla responsabilità di ognuno di noi nel costruire il lavoro e soprattutto il suo significato attorno alle cose che contano per la vita dell’uomo, a vantaggio delle generazioni più giovani e di quelle che verranno.

Strettamente legato al lavoro c’è un altro tema che non è più possibile trascurare la questione educativa, che deve divenire una sfida per formare, nella società e nelle imprese, cittadini responsabili prima ancora che ottimi “uomini d’affari”.

La scuola primo, ma non unico luogo di formazione, è un settore depresso da troppo tempo eppure oltre che fondamentale è anche strategico.

Bisognerebbe avere ora il coraggio (approfittando della lunga e forzata pausa) di affrontare e risolvere in maniera strutturale le problematiche relative a tutto il ciclo scolastico dalle materne all’università, concependo programmi e metodo educativo completo sì ma anche moderno e competitivo, senza dimenticare la giusta valorizzazione di chi è chiamato ad aiutare, con enorme responsabilità, a formare e plasmare le generazioni del futuro.

È indispensabile elaborare proposte che, a partire dal ruolo, dal numero e dalle remunerazioni del corpo insegnanti di ogni ordine e grado, affronti ex novo la questione della “buona scuola” e delle riforme del sistema educativo e della ricerca nella direzione di farlo diventare l’asse portante di un nuovo progetto di società e di Paese.

E, forse, questa potrebbe essere anche l’occasione per cercare di diminuire il divario enorme tra nord e sud che negli ultimi anni è aumentato invece che diminuire.

È innegabile che il virus abbia colpito in maniera più virulenta il nord mentre il centro ed il sud sono stati relativamente più “fortunati”. Molte le cause di questa disparità che persone più competenti di me, sono certa, analizzeranno con calma.

Ma è possibile affermare senza timore di smentita che il virus ha colpito le aree più produttive, come il nord Italia perché ci sono più contatti tra le persone, anche dall’estero, e più spostamenti quotidiani legati ad un mondo del lavoro sicuramente più frenetico, in fermento ed in espansione.

Le concause saranno sicuramente anche altre ma forse il sud è stato in parte graziato, ad eccezione di focolai anche importanti, proprio perché industrialmente ed economicamente più svantaggiato.

Ecco, allora, la forte ed impellente esigenza di rilanciare una volta e per tutte il sud, con investimenti importanti, significativi e strategici frutto di una visione concreta e attentamente studiata, che comprenda anche infrastrutture, migliorie e nuove opportunità per i giovani.

Affinché le generazioni più preparate, istruite e dotate non siano costrette ad abbandonare le loro terre di origine ma anzi possano contribuire ad arricchire i territori che le hanno formate con il vantaggio di comprendere le problematicità nel profondo. Un’Italia coesa e che marci insieme verso un futuro migliore per tutti.

Un ultimo pensiero va in questo momento all’Europa, non perché il problema sia secondario o poco complesso ma solo per lanciare due provocazioni, questo è il momento di un cambio di prospettiva da ambo le parti: il nostro Paese deve avere un'unica voce è il momento dell’unità che nasce da un confronto sano e produttivo e che si indirizza su un comune obiettivo, mentre per l’Europa potrei sintetizzare parafrasando Garibaldi “O si fa l’Europa o si muore”, infatti o l’Europa tutta insieme decide per uno slancio coraggioso e deciso che la riporti alle intenzioni dei suoi albori basati sulla coesione, la solidarietà e l’Unione vera e profonda di valori ed orizzonti, oppure vanificherà la sua stessa esistenza. Forse, per sempre.

Fausta Tinari
 




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