PRIMO PIANO
30/04/2020
Il lavoro: 'verbo' della grammatica sociale
Troppi lavoratori hanno perso in questi anni difficili il loro Primo Maggio, รจ ora che tornino a far festa

Abbiamo appena ricordato con commozione, una settimana fa, tutto il sangue versato nella nostra terra dai nostri fratelli di fede per la causa della giustizia dell'uomo: da quello di don Giovanni Minzoni a quello di Giuseppe Fanin, sicuri che la resistenza cristiana non si è conclusa con il 1945 ma è sempre in atto e va sempre ravvivata. Abbiamo onorato coloro che con grandi sacrifici hanno saputo resistere alla prepotenza e alla violenza, in vista di un avvenire migliore e più degno. Ma più che altro vogliamo raccoglierne la lezione sostanziale: non si finisce mai di resistere alle forze malvagie e nelle battaglie per la civiltà dell'amore e per la piena vita dello spirito c'è soprattutto bisogno di impegno per il tempo presente, facendo il possibile per applicare la regola di comportamento del rispetto delle persone, della comprensione degli altri e del vivere in buona armonia con tutti. E’ nostro proposito altrettanto fermo di non far mai pace con l'errore, con la menzogna, con la cultura di disperazione e di morte che in ogni epoca tentano di soggiogare.

E, soprattutto, voglio sottolineare cosa significhi per il MCL avvicinarsi tutti insieme a ricordare la forza della partecipazione e della rinnovata presenza dei lavoratori cristiani in occasione del I° Maggio. L’enciclica Caritas in Veritate di Benedetto XVI, scritta nel 2009, al tempo di un’altra crisi, affermava che: “La crisi ci obbliga a riprogettare il nostro cammino, a darci nuove regole e a trovare nuove forme di impegno, a puntare sulle esperienze positive e a rigettare quelle negative. La crisi diventa così occasione di discernimento e di nuova progettualità” (n. 21). Il mondo del lavoro sarà soggetto a forti rivolgimenti, saranno necessarie nuove forme di sostegno e solidarietà e occorrerà fare delle scelte drastiche.

Ricordo un intervento del Card. Bagnasco nel Natale 2015 (cinque anni fa!) in cui raccomandava di essere più concentrati sull’occupazione e il lavoro, come la priorità assoluta, tutto il resto la gente lo sente lontano perché non tocca la sua vita concreta: senza lavoro non vi è futuro né progettualità di vita concreta. L’occasione ricadeva in un periodo, anche quello terribile per i risparmiatori, in cui col decreto salva-banche molte persone avevano visto i loro soldi andare in fumo. Sicuramente il sistema Paese doveva impedire che succedessero queste cose perché la gente che in qualche modo si è impegnata con i propri risparmi, certamente onesti, non risultasse poi depauperata, penalizzata. Questo doveva essere assolutamente impedito in un Paese che persegue il bene comune.

Ciò detto la lezione che ne è derivata, poi, è stata che il primo problema non fosse questo, ma il lavoro. Quindi il Parlamento e il governo dovrebbero impegnarsi sempre di più sull’occupazione, tutto il resto diventa secondario.
La Festa di oggi deve allora ricordarci che senza lavoro non sappiamo nemmeno più parlare bene gli uni con gli altri. Se è vero che il lavoro è il "verbo" della grammatica sociale, ciò che lega e dà senso alle nostre relazioni, perché ancora troppa gente resta fuori dal mondo del lavoro? Così la nostra democrazia e la nostra Repubblica rischiano di perdere il loro primo fondamento, l’art. 1 della Costituzione che cita: L’Italia è una Repubblica democratica perché è fondata sul lavoro. La questione economica, poi, rimanda a quella del credito e a quella monetaria e, quindi, ai rapporti dell’Italia con l’Unione Europea, da cui dipendono nel nostro Paese le decisioni ultime in questi due settori mai trascurabili.

Siamo preoccupati come lo sono i nostri Vescovi nel loro splendido messaggio così ricco di speranza, ma non possiamo fare a meno di pensare a quanti hanno fin qui condiviso un tempo che non avremmo mai immaginato: l’emergenza seguita alla pandemia che ha evidenziato la nostra fragilità, come famiglie, lontani dalle nostre realtà associative, assenti dalle nostre comunità, fermi con le attività lavorative, osservatori di una fragile situazione economica e dell’incapacità politica di perseguire il bene comune. Ma, soprattutto, tanto lontani da quel mondo del lavoro che fino a poco tempo fa, oltre a rappresentare il pilastro della situazione economica del Paese, ha scelto la strada che si sarebbe in poco tempo allontanata da quel modello che papa Francesco aveva definito libero, creativo, partecipativo e solidale, generando così l’aumento delle persone scartate, rinforzando le statistiche della disoccupazione e togliendo di mezzo “il banco di lavoro”, che fu la cornice vera in cui, oltre 2000 anni fa, San Giuseppe insegnava a Gesù il mestiere che avvicinò il lavoro umano al mistero della Redenzione.

Papa Francesco non si limita a fare osservazioni o analisi, ma insiste molto sulle proposte che riguardano la sfera del lavoro, la responsabilità personale, l’impegno dei movimenti di fronte ai compiti propri e anche in ordine alla testimonianza finalizzata a un vero cambiamento.

L’obiettivo del MCL rimane sempre quello di promuovere un nuovo modello di sviluppo umano integrale, che sta a cuore alla Chiesa, come alternativa a un sistema che è collassato per sempre dopo l’esplosione del coronavirus. Da qui è urgente non tanto teorizzare, ma realizzare proposte affinché il dopo-pandemia pratichi l’insegnamento Pasquale della vera liberazione.

La preoccupazione non nasconde il desiderio di speranza e l’impegno comune e responsabile a promuovere la dignità del lavoro, che affronterà con maggiore vigore la prossima settimana sociale a Taranto che percorreremo con tutti quelli che il I° maggio - nella festa mondiale del lavoro - si ritrovano a venerarne la memoria e ad implorarne ancora la protezione. Troppi lavoratori hanno perso in questi anni difficili il loro Primo Maggio. È ora che tornino a far festa.

Gilberto Minghetti




Via Luigi Luzzatti 13/a - 00185 ROMA - Tel +39-06-7005110 - Fax +39-06-77260847 - [email protected]
2012 developed by digitalset digitalSet