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01/05/2020
Primo Maggio: ricostruire l’Italia sul valore del lavoro
L’emergenza sanitaria porterà molteplici rivoluzioni, quella del mercato del lavoro è una di queste e farci trovare preparati dipende solo da noi

Il momento difficile che sta vivendo tutto il nostro Paese non consentirà, ovviamente, nemmeno di festeggiare il Primo Maggio con tutti gli eventi pubblici che di solito fanno da cornice alla “festa dei lavoratori”. Ma, proprio per questo, vogliamo far sentire ancora di più la nostra vicinanza a tutti i lavoratori, le lavoratrici e alle loro famiglie che sono in grande difficoltà per la perdita o la sospensione del lavoro dovute alle restrizioni imposte per la salvaguardia della salute pubblica. La nostra vicinanza è anche, e soprattutto, impegno incessante per la tutela dei lavoratori e dei loro diritti fondamentali.

La crisi sanitaria dovuta alla pandemia Covid-19 è qualcosa che non ha precedenti nella storia recente e che cambierà senz’altro la nostra vita futura. Questa crisi ha messo in evidenza la vulnerabilità e le certezze effimere delle nostre politiche, delle nostre economie e delle nostre società.

Le dimensioni della pandemia vanno ben oltre l’emergenza sanitaria, ad essa si aggiungono le questioni dell’economia, del lavoro e della coesione sociale. Le misure introdotte per contenere il virus stanno determinando uno shock economico che mette in pericolo la funzionalità delle filiere produttive e il loro blocco potrà produrre fallimenti, disoccupazione, povertà, disagio e conflitto sociale. Inevitabile, quindi, che lo shock economico stia colpendo duramente anche il lavoro, rivelando in modo impietoso le profonde debolezze del nostro mercato del lavoro.

In queste settimane, il dibattito si è concentrato soprattutto sullo spread e sugli indici di borsa, e quando si è parlato di lavoro quasi sempre si è rivolto lo sguardo solo alle grandi aziende (sottacendo forse il vero interesse verso la grande finanza ed i grandi gruppi proprietari di quelle aziende). Sembra quasi dimenticato il variegato mondo delle piccole e medie imprese, dei lavoratori autonomi, dei piccoli imprenditori, dimenticando anche che costituiscono da sempre una risorsa importante per il Paese e che oggi sono maggiormente esposti al rischio delle ricadute dovute alle misure di contenimento.

Ora siamo tutti consapevoli che nulla sarà come prima, ma dobbiamo cogliere questa nuova drammatica crisi come occasione per ridisegnare la società e l’economia e ricostruire l’Italia sul valore del lavoro, della sua sicurezza, della dignità della persona. Lo dicevamo già da molto tempo e avevamo focalizzato il nostro impegno sull’obiettivo primario di elaborare sul piano culturale, economico e sociale un “nuovo umanesimo del lavoro”: una forte rivalutazione della centralità e del valore del lavoro come elemento di affermazione concreta della speranza e della dignità di ogni persona umana; essenziale, poi, anche per una positiva evoluzione della coesione sociale.

La crisi che abbiamo vissuto in questi ultimi anni ha avuto la sua chiara origine nello squilibrio di elementi e impostazioni culturali e valoriali. In questo squilibrio che ha travolto la società, il lavoro è stato sempre più ridotto nella sua portata, corrotto da precarietà e sfruttamento, considerato quasi superato, ed una delle conseguenze più gravi è stata proprio la perdita progressiva del senso del lavoro.

Se vogliamo davvero cogliere questa nuova crisi come occasione per ricostruire un’Italia, e un mondo, migliore, il lavoro dovrà essere un nodo centrale dell’economia futura, servono principi e valori che abbiamo la fortuna di aver nel nostro DNA, nel nostro bagaglio ereditario. E’ la Dottrina Sociale della Chiesa che rende possibile legare i valori e gli indirizzi ai problemi che incontriamo tutti i giorni, ed è proprio tramite la DSC che possiamo influenzare e orientare i cambiamenti e le trasformazioni sociali in corso, compresa questa drammatica pandemia.

Nell’immediato, per soccorrere il nostro mondo del lavoro duramente colpito dal virus, si devono trovare al più presto soluzioni per sostenere le imprese, ma anche politiche attive del lavoro efficienti (non certo i navigator), e serie misure di protezione della salute dei lavoratori. Soprattutto in questo momento dobbiamo vigilare affinché le logiche di mercato, la corsa a riaprire le aziende non prevalgano sulla salute dei lavoratori. Il sistema produttivo ha assoluta necessità di riprendere le attività interrotte e già dal 4 maggio potranno ripartire i cantieri dell’edilizia pubblica, il settore manifatturiero per l’export e il commercio all’ingrosso funzionale a queste filiere, ma è essenziale che ripartano garantendo la massima sicurezza ai lavoratori e su questo dovranno esserci controlli seri da parte delle autorità competenti. Non è più tollerabile che un lavoratore sia costretto a scegliere tra la propria salute ed il proprio lavoro, la dura lezione di quanto accaduto a Taranto deve rimanere viva nella nostra memoria e farci dire, oggi, che simili vicende non dovranno più far parte del nostro futuro.

Ma c’è un effetto collaterale dell’epidemia altrettanto pericoloso che si intravede all’orizzonte: un preoccupante rigurgito centralista. Un tentativo di ridurre l’azione sussidiaria dei corpi intermedi essenziale, invece, sia ora nell’emergenza, come dimostrano le tante iniziative messe in campo, sia per la ricostruzione del Paese. Populismo, tecnocrazia, disintermediazione: sono tutte concezioni malate che fanno, poi, sintesi nell’errato mito del centralismo statalista, che sottomette società e comunità all’erosione della sussidiarietà orizzontale. Un altro virus che si insinua nella società perché non ci può essere nulla di più errato e pericoloso se si vuole pensare ad una ricostruzione vera.

E’ necessario, invece, dare spazio a “più sussidiarietà”, rivalutare il ruolo fondamentale dei corpi intermedi, del terzo settore perché hanno una profonda conoscenza del territorio in cui operano, di quel territorio dove più viva è la società. Una società composta da tantissime piccole iniziative imprenditoriali legate alla comunità, che se non vengono soffocate da una inutile burocrazia possono essere il volano principale della ripresa. Nella storia del nostro Paese i corpi intermedi hanno sempre avuto un ruolo fondamentale per favorire la coesione sociale e per dare vita ai concetti di sussidiarietà, solidarietà e bene comune.

Se nella ripresa dell’Italia non si terrà in dovuto conto tutto questo, la strategia non potrà che essere perdente. Per far ripartire il Paese si dovranno mettere in campo tutte le forze vitali esistenti, perché questo è il momento della collaborazione e del buon senso: il governo non può affrontare l’emergenza, né garantire la stabilità sociale e la ripresa, attraverso azioni unilaterali.

L’emergenza sanitaria porterà molteplici rivoluzioni che potrebbero sconvolgere il nostro tessuto sociale. Quella del mercato del lavoro è una di queste e farci trovare preparati dipende solo da noi.

Carlo Costalli
Presidente Nazionale Mcl

 




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