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27/04/2020
Quale Europa dopo l’emergenza?
c’è da augurarsi che il generalizzato stato di necessità spinga le Istituzioni europee verso l’adozione di provvedimenti decisi ed efficaci, che prevedano meno vincoli e più sostegno agli investimenti e alla difesa del lavoro

Quale Europa vogliamo? I contributi degli amici Piergiorgio Sciacqua e Pietro Giubilo offrono preziosi contributi all’attuale dibattito sulla situazione politica europea e sul dibattito relativo al ruolo dell’Italia in Europa.

Una cosa è chiara: dopo l’emergenza sanitaria nulla sarà più come prima, né in Italia né a livello sovranazionale e per molti versi occorre ripensare da capo molte cose per potere ripartire. In quale direzione ci dovremo muovere?
Provando a individuare qualche contenuto generale, si possono rilevare alcune conseguenze dell’epidemia e dell’attuale emergenza sanitaria a livello di visioni del mondo e di concezioni antropologiche e politiche, che condizionano anche la questione europea.

Di certo il mondo super-globalizzato e interconnesso, caratterizzato dalla richiesta senza limite di “nuovi diritti”, esce assai indebolito e messo in discussione in molti dei suoi caposaldi; nel momento più acuto della crisi sanitaria ci si è dovuti necessariamente chiudere a riccio (oltre che in casa…), sacrificando molti diritti (a cominciare da quello di muoversi e di riunirsi), richiedendo a tutti indistintamente (non senza difficoltà) il sacrificio dei doveri (civici e non solo) per difendere e preservare - il che è un’ottima cosa! - il superiore diritto alla vita e all’integrità personale.

Al di là delle valutazioni sull’opportunità (condivisibili) e sulla correttezza degli strumenti giuridici (assai più criticabili, invece) utilizzati per tali operazioni straordinarie, è possibile che tutto ciò possa far riflettere sulla necessità del recupero in condizioni normali di una visione più equilibrata della convivenza, in cui alle libertà dei singoli e all’autodeterminazione si unisca il rispetto della coesione comunitaria fondata sull’adesione a valori e ideali, spesso “tradizionali”, che trascendono l’individuo.

Altro ambito di cambiamento sarà quello del lavoro; da un lato, della delocalizzazione (soprattutto in Cina) si sono sperimentati in questa occasione soprattutto i grandi rischi, mentre dal punto di vista dell’organizzazione, la diffusione delle forme di smart working potrebbe costituire un modello da cui non si tornerà più indietro. Peraltro, l’emergenza rischia di lasciare ferite gravissime nel tessuto economico e sociale, e occorrono interventi rapidi a sostegno dell’occupazione e delle imprese (soprattutto quelle piccole e medie) ben più consistenti di quelli fino ad ora messi in atto dall’Esecutivo. 

Da ultimo, l’Europa: anche le Istituzioni della UE sono state prese alla sprovvista dall’emergenza e le prime dichiarazione hanno fatto temere il peggio; ben presto, però, si è visto un deciso cambio di rotta, nella presa di consapevolezza dello stato di necessità di quasi tutti i Paesi che la compongono e della constatazione della gravità radicale dell’emergenza.

Altri Paesi (a cominciare dagli USA e dal Regno Unito) si sono mossi più rapidamente, immettendo liquidità e risorse a favore dell’economia e a difesa della tenuta del sistema bancario.
Per l’Europa, siamo ora al momento decisivo; c’è da augurarsi che il generalizzato stato di necessità delle popolazioni, dei sistemi sanitari e di quelli economici, spingano le Istituzioni europee verso l’adozione di provvedimenti decisi ed efficaci, che prevedano meno vincoli (soprattutto burocratici e di bilancio) e più sostegno agli investimenti e alla difesa del lavoro.

Il problema è che per operare tale cambio di passo sembra non essere sufficiente (soprattutto nel medio periodo) il solo stato di necessità diffuso, ma occorre ritrovare - pur nelle differenze - una nuova coesione su base politica. Non basta la difesa da parte di ciascuno dei propri “interessi” nazionali (che si possono in parte abbandonare, solo nella consapevolezza del riconoscimento di spazi di vera autonomia a livello locale), ma occorre una sintesi: essa può essere basata solo sui valori e sulla ripresa della specificità europea.

Essa risiede nella centralità della persona e della sua iniziativa singola e aggregata, nella priorità della società rispetto alle istituzioni e nell’aspirazione di realizzare un modello di civiltà e di sviluppo capace di rispettare la storia comune e quelle particolari. Mai come oggi si comprende il limite della visione meramente economica e burocratica dell’Europa e la necessità di ritrovare il valore della “politica” comune europea, anche sullo scacchiere mondiale.

Per il nostro Paese tutto ciò è tanto particolarmente urgente e importante; dell’Europa (anche della sua moneta!) e dei suoi spazi aperti, non possiamo fare a meno! Piuttosto dobbiamo portare il nostro contributo e il nostro apporto specifico, anche ‘critico’, all’interno delle Istituzioni e nel dibattito pubblico europeo a tutti i livelli.

Alcuni dicono che l’emergenza sanitaria sia comparabile nelle sue conseguenze ad una guerra; dopo quella del 1939/1945 si era avviato proprio il percorso verso l’unificazione europea, su basi profonde e avendo come bussola la difesa della pace e della dignità umana. Da qui si è sviluppato, soprattutto nel nostro Paese, un periodo di grande speranza e di prosperità, propiziato da adeguati investimenti (vedi piano Marshall) e da un tessuto sociale ricco e motivato (partiti, associazioni religiose, sindacati, imprese, etc) e guidato da politici autorevoli e lungimiranti, come De Gasperi, Schuman e Adenauer.

Di personalità così c’è oggi un gran bisogno, a tutti i livelli, ed è compito di tutti cercare di individuarli e di sostenerli, facendo tesoro delle parole ‘profetiche’ e attualissime pronunciate da Papa Francesco nel suo magistrale discorso al Parlamento Europeo del 25 novembre 2014: “Un messaggio di speranza basato sulla fiducia che le difficoltà possano diventare promotrici potenti di unità, per vincere tutte le paure che l’Europa - insieme a tutto il mondo - sta attraversando. Speranza nel Signore che trasforma il male in bene e la morte in vita. … Dare speranza all’Europa non significa solo riconoscere la centralità della persona umana, ma implica anche favorirne le doti. Si tratta perciò di investire su di essa e sugli ambiti in cui i suoi talenti si formano e portano frutto. Il primo ambito è sicuramente quello dell’educazione, a partire dalla famiglia, cellula fondamentale ed elemento prezioso di ogni società”.

Michele Rosboch

 




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