La crisi globale in cui ci troviamo cambierà, forse radicalmente, il mondo in cui ci resta da vivere ed in cui vivranno i nostri figli e ci costringerà a rivedere le certezze dei contesti sociali che consideravamo stabili. I modi vivere, lavorare, produrre, viaggiare non saranno più gli stessi perché da un lato vivremo il riflesso della pesante crisi economica conseguente all’emergenza sanitaria, dall’altro, probabilmente, il quadro geo politico e le connessioni economico finanziarie ad esso legate che subiranno dei cambiamenti. In quale direzione il mutamento andrà, è oggi difficile da comprendere perché le variabili sono ancora troppe. Certo è che questa emergenza sanitaria segnerà uno spartiacque e mentre si “combatte” in trincea e si fronteggia il virus, occorre da subito cominciare a ragionare sul “dopo”, per provare a indirizzare il futuro e non subirlo.
Una cosa pare evidente sin da ora: il mondo globalizzato e tecnologico che mette in comune persone, merci, economia e finanza, ha mostrato tutta la sua impreparazione di fronte ad una crisi sistemica senza precedenti. Le istituzioni mondiali, a iniziare da quelle europee, non avevano protocolli comuni e procedure condivise per reagire all’emergenza. In questo scenario globale l’Italia ha avuto la sfortuna di entrare nella crisi sanitaria come primo Paese occidentale ed europeo con il fardello di una crescita economica stagnante ormai da diversi anni. Queste circostanze, aggravate dalla debole reazione dei partner europei e all’assenza di una strategia univoca da parte delle Istituzioni comunitarie, ci consegnano un quadro estremamente preoccupante. Eppure, dentro questo scenario, dobbiamo cominciare a pensare ad alcune linee di indirizzo per l’immediato futuro del mondo in cui viviamo e, ripeto, in cui vivranno i nostri figli, per il ruolo che come Movimento di lavoratori che trova le sue radici culturali nella Dottrina sociale della Chiesa e come stakeholder del mondo del lavoro e delle questioni sociali abbiamo, perché gli effetti economici di questa crisi rischiano di compromettere la tenuta delle nostre stesse democrazie.
Avanzare delle proposte, come mi è stato chiesto dal presidente della Fondazione Italiana Europa Popolare Tonino Di Matteo, mi sembra molto difficile, almeno per quanto mi riguarda. Ritengo invece più interessante cercare di identificare le criticità che la crisi sanitaria ha fatto venire a galla o ha acuito e da esse cominciare a porci delle domande per iniziare un confronto all’interno del nostro Movimento per proporre, tutti insieme, delle idee concrete per il domani prossimo venturo.
Mi permetto pertanto di lanciare un sasso nello stagno e di fornire alcuni iniziali spunti, legati tutti al contesto del nostro agire associativo, che possono rappresentare una traccia di riflessione, partendo da considerazioni riconducibili prettamente al nostro Paese e poi via via allargando l’angolo visuale.
- L’Italia è stata travolta da questa pandemia in una fase di forte fragilità della propria economia. Già prima della crisi, la crescita stagnante, l’alto debito pubblico connesso con la scarsa competitività del sistema economico e la debolezza del mercato del lavoro davano l’evidenza di un Paese chiamato a riflettere profondamente sull’urgenza di alcune riforme del nostro modello produttivo. All’indomani di una crisi che trascinerà un ulteriore appesantimento del debito pubblico e di indebolimento dell’economia reale, il mercato del lavoro subirà un ulteriore durissimo colpo. La crisi ha costretto lo Stato all’ utilizzo su vasta scala degli ammortizzatori sociali per tutelare quanto possibile aziende, posti di lavoro e tenuta sociale. Si tratta, soprattutto per l’Italia, di un modello difficilmente sostenibile nel tempo. Quali soluzioni dovremo immaginare per fronteggiare la verosimile, ulteriore, perdita strutturale di alcuni posti di lavoro e costruire un nuovo modello di welfare socialmente sostenibile?
- In questa crisi, l’innovazione tecnologica si sta dimostrando il settore strategico per eccellenza. Dallo smart working, all’e-learning, dall’utilizzo dei dati per le analisi previsionali, sino alle ipotesi relative alla tracciabilità individuale e collettiva per contrastare la diffusione del virus, l’innovazione digitale dimostra il suo assoluto protagonismo nella realtà quotidiana. Contestualmente, si stanno evidenziando i limiti di un sistema, quello italiano, ancora fragile a livello di infrastrutture digitali. Le defaillances dei portali della Pubblica Amministrazione e le persone in fila davanti ai nostri uffici del Patronato e del Caf nei giorni massimi della pandemia per presentare le domande per i bonus ne sono un esempio attualissimo. Quali sono le priorità sulle quali occorre investire per dotare il Paese di infrastrutture all’avanguardia?
- Le differenti reazioni dei Paesi UE hanno mostrato i limiti più evidenti dello sviluppo del progetto europeo. Il rischio che questa crisi rafforzi le spinte centrifughe è alto. Quali sono le priorità su cui impegnarsi per salvare e rilanciare il progetto europeo? Non è opportuno raccogliere questa opportunità anche per correggere la distorsione cronica delle Istituzioni europee, ampliando le materie di competenza dell’Unione a cominciare da quelle sociali e del lavoro?
- Prima dell’insorgere dell’emergenza sanitaria le economie mondiali sembravano orientarsi verso un modello di sviluppo più sostenibile, con le tematiche green al centro di esso. Infatti, l’Agenda 2030 era entrata nelle agende politiche dei governi e la nuova Commissione europea aveva inaugurato il proprio mandato con un forte impulso alla convergenza verso un’economia ambientalmente sostenibile. Cosa rimarrà di quell’orientamento che sembrava acquisito e come aggiornare l’agenda dello sviluppo sostenibile alla luce della nuova centralità che sarà rappresentata dalla tutela della salute dei cittadini?
- La globalizzazione, i cui parametri hanno dominato le economie e le società da circa 30 anni, cominciava ad esser messa in discussione già prima dell’arrivo della pandemia. Del resto, l’espandersi di movimenti politici e di opinione fortemente critici verso di essa hanno accresciuto consensi proprio raccogliendo il diffuso malessere sociale determinato dalle distorsioni del modello economico predominante ed era già un segnale evidente la necessità di costruire nuove risposte. Indubbiamente la crisi sanitaria ha portato lo Stato a riacquisire una centralità che sembrava persa in materia di sostegno all’economia reale. La crisi sanitaria come inciderà in tal senso? Siamo alla fine dell’era della globalizzazione e ci avviamo verso un ripiegamento “interno” con una rinnovata centralità degli Stati nazionali?
Le problematiche non sono semplici e le risposte men che meno, ma discutere e provare a portare il nostro contributo culturale alle scelte politiche che determineranno i cambiamenti che verranno, è doveroso.
Cambiare si può, anzi cambiare si deve. Ora o mai più.
Alfonso Luzzi