Le ultime riunioni dei ministri finanziari hanno evidenziato un aspetto della politica europea che si riteneva fosse marginale, cioè poco influente. Invece, nonostante l’incalzare di una epidemia che si è diffusa ovunque, cioè di fronte ad un pericolo comune, le divisioni su alcuni degli strumenti per intervenire a copertura del crescente indebitamento, hanno reso evidente come a Bruxelles vi sia una carenza di fiducia reciproca.
In fondo, la scarsa disponibilità di alcuni partner a varare strumenti finanziari che si fondassero sulla mutualizzazione del rischio ha il suo fondamento nella sfiducia sulla capacità di qualche Paese, in particolare dell’Italia, a onorare gli impegni derivanti dal varo dei bond. Non è solo una preoccupazione conseguente a previsione dei mercati e degli operatori di finanza, pronti sempre a disfarsi dei titoli di Stati che mostrino il minimo cenno di possibile fragilità. E’, purtroppo, un consolidato atteggiamento di alcune rappresentanze governative. Ed è ovviamente più grave e significativo.
Non basta a far desistere da tale diffidenza la indiscutibilità, nel caso dell’Italia, di “fondamentali” economici sani, quali una struttura produttiva tra le prime in Europa o la realtà di un risparmio privato tra i più elevati a livello mondiale e un indebitamento privato assai basso, tutti elementi di garanzia, mai compiutamente considerati. Non ha fatto adeguatamente riflettere qualche governo “contestatore”, neppure il dato reale che il nostro Paese non si sia mai sottratto agli impegni in derivazione del nostro alto debito, né che abbia dimostrato di rispettare i parametri europei, in presenza di un livello consistente di avanzo primario.
Tutto ciò non è bastato, come ha scritto Giancarlo Mazzuca su il Sole 24 Ore, per impedire, da parte di qualcuno, di trattarci “da Paese di serie B, relegandoci, in una Europa a due velocità nel vagone di coda”.
Forse qualche recente defaillance nel non riuscire ad affrontare alcuni nodi su eccessi di spesa pubblica improduttiva o nel pretendere flessibilità a volte non a proposito, sui quali dovremmo fare mea culpa, hanno innescato atteggiamenti che, però, rivelano soprattutto una ostilità che ci ricorda pregiudizi nei nostri confronti, manifestatasi altre volte nella storia.
Con soddisfazione abbiamo assistito in questi giorni e nella sede del Parlamento europeo a quella che può definirsi la riparazione di tale ingiusto e sospettoso atteggiamento. E’ questo il significato del recente intervento della Presidente Ursula Von der Leyen di fronte ai deputati europei, nel corso del quale, dando prova di grande apertura, ha affermato che “molti erano assenti quando l’Italia ha avuto bisogno di aiuto” contro il coronavirus, e quindi “l’Ue ora deve presentare una scusa sentita all’Italia”. Aggiungendo un dato fondamentale per una solidarietà che superi ogni diffidenza: “Dobbiamo proteggerci a vicenda”.
Emerge la consapevolezza, per la stessa solidità della costruzione europea, del riconoscere all’Italia il ruolo e la dignità che le spetta, insieme alla piena comprensione per le difficoltà che sono scaturite da una epidemia che si è riversata su un Paese pienamente inserito nell’economia e negli scambi internazionali.
Il Consiglio europeo del 23 aprile è chiamato non solo a specificare i punti dell’accordo, confermando la incondizionalità del Mes e dando corpo al Recovery Fund, ma, soprattutto, a ricostruire la fiducia tra gli Stati dell’Unione Europea. Occorre superare il sospetto reciproco perché ci attendono fasi difficili in quanto c’è il rischio che la condizione di insicurezza che il coronavirus ha largamente diffuso rallenti per molto tempo, anche a epidemia sotto controllo, la disponibilità dei cittadini a riprendere in pieno attività produttiva e consumi. Come ha dichiarato, a marzo, il rappresentante permanente italiano presso la Ue, Maurizio Massari “l’egoismo porta a adottare una logica fallimentare, a mendicare dal vicino, ad azioni discriminatorie e speculative”; proprio il contrario di ciò di cui abbiamo bisogno.
C’è un interesse comune nell’intervenire con risorse adeguate, strumenti nuovi e un riaffermato spirito comunitario.
E’ l’Europa della solidarietà e del rispetto reciproco che deve vincere a Bruxelles la sua difficile battaglia. Attendiamo di vederne la conferma quando si troveranno faccia a faccia i governi europei nel momento più difficile di questo secolo. Abbiamo assistito a due incontri non conclusivi. Non ci saranno ulteriori occasioni.
Pietro Giubilo