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21/04/2020
Dopo: cambiare i modelli economici
realizzare analisi e proposte affinché il dopo pandemia pratichi la strada pasquale della liberazione nella costruzione di nuovi modelli economici e sociali

La notizia è questa: in Italia mancano 300.000 lavoratori, specie in agricoltura e specialmente braccianti! Sì, non è un errore, proprio duecentocinquantamila, un vuoto creatosi perché i lavoratori sono in quarantena, perché molte aziende non hanno rinnovato i contratti, perché molti migranti sono ritornati nei paesi di origine, perché non è possibile "utilizzare" i clandestini e irregolari. C'è da domandarsi dove siano finiti gli "invasori" che (come alcuni sostenevano con convinzione) stavano togliendo il posto agli italiani, tormentone che per lunghi mesi, specialmente a cavallo tra il 2018/2019, ci ha stordito attraverso sondaggi e dibattiti di varia natura. Ora il coronavirus ha messo a nudo anche quest'altra menzogna: quei lavoratori, mediaticamente messi all'indice (che l'ipocrisia di imprenditori, politici e "padroni" continuavano a tenere nello "sfruttamento") ora sono diventati indispensabili! Costoro fanno parte di quell'"esercito invisibile che combatte nelle trincee più pericolose", come lo ha definito papa Francesco nel messaggio inviato nel giorno di Pasqua ai movimenti e alle organizzazioni popolari. Paura e chiusura totale insieme con la logica dello scarto hanno confinato nella periferia delle baraccopoli poveri e scartati, che stanno pagando un alto prezzo imposto anche dal blocco totale. Questi migranti (quelli che sono rimasti), irregolari e clandestini, non possono trasferirsi nei campi perché correrebbero il rischio di essere intercettati dalle forze di polizia che effettua i controlli ed emergerebbe la loro totale irregolarità, la cui responsabilità ricade su "padroni" e "caporali. La difficoltà di giustificare lo spostamento di persone che lavoravano a nero in condizioni disumane e di sfruttamento e la resistenza a regolarizzare le loro posizioni sono anche cause della carenza di lavoratori in agricoltura. Si tratta di lavoratori clandestini tra gli ultimi nella scala di coloro che praticano la cosiddetta “economia informale... esclusi dai benefici della globalizzazione” (messaggio di papa Francesco), anzi vittime della globalizzazione.

La strada da seguire è quella indicata da papa Francesco sia nel messaggio sopra indicato sia nei numerosi e intensi discorsi e omelie, specie quelle fatte durante la prima settimana di Pasqua. Egli sostiene che l'emergenza attuale pone una questione di revisione del modello economico-finanziario, invocando la responsabilità dei governi i quali devono comprendere “che i paradigmi tecnocratici (sia che abbiano al centro lo Stato, sia che abbiano al centro il mercato) non sono sufficienti per affrontare questa crisi o gli altri grandi problemi dell'umanità”. Ora più che mai, sostiene il Papa, “sono le persone, le comunità, i popoli che devono essere al centro, uniti per guarire, per curare, per condividere” (nel messaggio).

Non sfugge a papa Francesco nemmeno la diffidenza che circonda queste categorie di emarginati, perché essi sono oltre la “mera filantropia mediante l'organizzazione comunitaria” o perché rivendicano “diritti invece di rassegnarsi ad aspettare di raccogliere qualche briciola caduta dalla tavola di chi detiene il potere economico».  Nell'omelia durante la messa della seconda domenica di Pasqua l'analisi e le proposte del Papa sono ancor più determinate: “Quel che sta accadendo ci scuota dentro: è tempo di rimuovere le disuguaglianze, di risanare l'ingiustizia che mina alla radice la salute dell'intera umanità! Impariamo dalla comunità cristiana delle origini, descritta nel libro degli Atti degli Apostoli”.

Il Papa non ha fatto solo osservazioni o analisi, ma ha fatto anche numerose proposte che riguardano la sfera della spiritualità, la responsabilità personale, la responsabilità della politica e dei governi, l'impegno dei movimenti e delle comunità cristiane. Tra le varie proposte, lungimirante è quella relativa alla istituzione di “un salario universale che riconosca e dia dignità ai nobili e insostituibili compiti” dei "lavoratori dell'economia informale" e anche di quanti sono impegnati nella vita politica (definita dal papa la più alta forma di carità), “capace di garantire e di fare una realtà così umana e così cristiana: nessun lavoratore senza diritti”.

A me sembra che dalle parole del Papa (nella sua lettura attuale del Vangelo e dei brani dei testi sacri offerti nelle varie liturgie pasquali) emerga una sorta di convocazione dei movimenti popolari, della politica e delle comunità cristiane a impegnarsi sui temi sopra indicati per fare alla fine proposte concrete finalizzate a un vero cambiamento. E ciò è anche riconducibile alla personale constatazione del Papa, basata sulla sua esperienza umana e pastorale, e cioè che i movimenti e le organizzazioni popolari non rispondono a un'ideologia, non sono mossi da «teorizzazione astratta o dall'indignazione elegante» (così aveva affermato a Santa Cruz il 9 luglio 2015), perché  essi hanno  “i piedi nel fango e le mani nella carne” (a Roma, il 28 ottobre 2014) e in quanto “esclusi dai benefici della globalizzazione” non godono “di quei piaceri superficiali che anestetizzano tante coscienze” (così nel messaggio). Quindi, è quanto mai urgente realizzare forme di analisi e di proposte affinché il dopo pandemia pratichi la strada pasquale della liberazione nella costruzione di nuovi modelli economici e sociali.

Gaetano Dammacco
 




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