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17/04/2020
Morire di statalismo centralista
per costruire una risposta globale occorre sapere mettere a fattore comune tutti gli attori, secondo la loro altezza e profondità

Un effetto collaterale di questa epidemia - già se ne intravedono i sintomi - incombe sull'Italia: un pericoloso rigurgito centralista; tanto nella contrazione degli spazi di autonomia regionale quanto nella riduzione dell'operatività sussidiaria dei corpi intermedi (dalle famiglie al variegato mondo del Terzo Settore, fino agli Enti locali). Un danno collaterale che può rivelarsi perniciosamente impattante sulle possibilità di costruire un vero rilancio, specie se associato a improvvidi sovranismi retorici (nemici non meno insidiosi delle tentazioni tecno-burocratiche nell'impedire il dipanarsi della necessaria sovranità politica europea).

La questione sanitaria viene strumentalizzata come arma perfetta per compiere il delitto, con sempre più frequenti staffilate polemiche governative contro la regionalizzazione. Si potrebbero evocare i molti interventi del ministro Francesco Boccia, ma è forse un'intervista di Andrea Orlando ad aver indicato con chiarezza l'ordito della maggioranza pentademocratica. In un colloquio con “La Stampa”, lo scorso 3 aprile, l'ex ministro della Giustizia ha sostenuto che “Dopo la crisi bisognerà iniziare a ragionare, traendo una lezione da quanto successo e pensare se sia il caso di far tornare in capo allo Stato alcune competenze come la sanità (…) Con 20 Regioni che parlano 20 lingue diverse  credo sia necessario riconsiderare l’ipotesi della clausole di supremazia previste dalla riforma del 2016, ovvero di un ritorno delle competenze sanitarie allo Stato centrale”. Una posizione non casualmente molto in sintonia con il pensiero - e i desiderata - di una rilevante fetta di tecnici e burocrati. È assolutamente evidente che la Sanità è il grimaldello con cui si vuole andare a scardinare la sussidiarietà verticale. Il regionalismo italiano, specie come ridisegnato dalla discutibile riforma del Titolo Quinto approvata dal centrosinistra in scadere di legislatura nel 2001, ha certo bisogno di una revisione (non nel senso di uno statalismo inefficace). L'attacco al sistema delle autonomie, che sono invece un elemento che potrebbe fondare un adeguato percorso federalista europeo, non è in grado di determinare quel miglior Stato che deve affiancarsi al più società.

Società e comunità, poi, sono sottoposte anche alla concreta erosione - già in atto - della sussidiarietà orizzontale. Erosione ad opera di un “centralismo catastrofico”, come lo ha giustamente definito il giornalista Riccardo Bonacina, che sembra essere una trasversale tentazione (anche di certe Regioni governate dal centrodestra che ribaltano sugli attori sociali quanto subiscono dallo Stato centrale). In un suo intervento sul sito di “Vita”, il direttore del magazine del no profit ha spiegato che è “Catastrofico perchè al centralismo si accompagna sempre la burocratizzazione delle risposte. Leggetevi le 123.104 parole delle 295 pagine del decreto legge Cura Italia: un labirinto nel quale si perderebbero anche tecnici consumati, figuriamoci i lavoratori, le famiglie e le aziende cui è diretto”.

La strada da percorrere dovrebbe essere un'altra. Per riprendere ancora le parole di Bonacina: “Di fronte a problemi enormi come quelli che stiamo affrontando occorreva l'umiltà di capire che bisognava imboccare la via della governance che ha sempre una struttura tripolare, il governo come istituzioni, il mondo delle imprese e il mondo dei corpi intermedi della società come li chiama la Costituzione e che oggi chiamiamo enti di Terzo settore. Quello che occorreva fare era questo: mettere assieme questi soggetti chiamarli a decidere insieme. Capire che il solo governo (centrale o regionale) non basta. Lo Stato non esaurisce la Repubblica ne è solo una componente. Non si può andare avanti solo con tecnicismi o con algoritmi sballati che cambiano una volta la settimana e a cui chiediamo dove mandare gli aiuti”.

Per costruire una risposta globale, insomma, occorre sapere mettere a fattore comune tutti gli attori, secondo la loro altezza e profondità. Infettati dalla devastante malata sintesi tra populismi e tecnocrazia, entrambi fondati sul mito della disintermediazione, invece, si rischia di morire di centralismo statalista. Effetto collaterale contro cui il vaccino ci sarebbe, ma che larga parte della classe dirigente irresponsabilmente preferisce ignorare così consegnandoci alla brutalità di un'economia che uccide non meno del Covid-19.

Marco Margrita




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